Palladino deve ritrovare equilibrio e convinzione, mentre la squadra è chiamata a reagire con compattezza per salvare una stagione ancora aperta
Si può scegliere di presentarsi davanti a un microfono e richiamare il gruppo alla compattezza. Anche con parole forti. Del tipo: “Chi ha mal di pancia ce lo dica e troviamo una soluzione“, “Tutti devono farsi un bagno d’umiltà“. Si può anche scegliere la via del confronto, dell’ascolto, degli sguardi a volte più risolutivi di mille interpretazioni. Oppure affidarsi al silenzio e al mantra del lavoro come unica soluzione alla crisi di gioco e di risultati. Ma nella settimana che porta alla sfida di domenica sera all’Olimpico, contro la Lazio lanciata in quarta posizione, è lecito attendersi alcune risposte. Almeno tre, pensando club, tecnico e giocatori. Se nel momento d’oro tutti corrono sotto la luce accecante dei riflettori a prendersi i meriti dei successi, è nel periodo di difficoltà e di incertezza che è bene ricordarsi come le responsabilità vadano ridistribuite tra tutte le componenti di una società.
Partendo dalla proprietà e dalla sua dirigenza. Con l’arrivo di Raffaele Palladino si è puntato, d’accordo col tecnico, a un cambio di pelle profondo della rosa. Molti acquisti però sono arrivati soltanto nelle ultime ore di mercato e a conti fatti le alternative rispetto ai titolarissimi non sono all’altezza delle ambizioni sventolate a inizio stagione quando la Fiorentina, al termine del triennio di Vincenzo Italiano, ammise i propri errori e rilanciò alzando l’asticella degli obiettivi. Alcuni effetti collaterali andavano messi in conto, compresa l’irritazione della “vecchia guardia” con l’ex capitano Biraghi in testa. Non è arrivato un vice Kean e in difesa Pongracic rimane il mistero più grande: 16 milioni di euro spesi per il sostituto di Milenkovic (“miglior acquisto dell’anno” in Premier League secondo The Telegraph) alla quinta panchina di fila dopo essere rientrato in gruppo. Titolare col Parma alla prima, 9’ con Atalanta e 9’ col Como. Poi il nulla più totale, finora.
Kayode partirà, Ikoné e Kouame attendono il semaforo verde. E poi? Ok Folorunsho, funzionale e subito nel vivo, ma a dieci giorni dalla chiusura delle trattative non sono poche le caselle da aggiustare. Manca ancora il vice Kean (si pensa a uno scambio col Torino, Sanabria in viola e Kouame in granata), non arriverà Luiz Henrique come esterno offensivo (lo Zenit ha offerto quasi il doppio dei viola) e anche in mezzo al campo il tecnico ha fatto intendere come manchi fisicità. Infine la questione tecnica: Palladino ha ricevuto l’attestato di stima da parte di Commisso soltanto una settimana fa ma è chiaro che la sfida con la Lazio abbia un peso specifico da non sottovalutare. La dirigenza stavolta ha scelto il silenzio ma le risposte da parte del club dovranno arrivare e il mercato pare il terreno migliore, in questo momento.
Passiamo a Palladino e al suo staff. Da un mese e mezzo a questa parte la sua squadra ha perso equilibrio. È spezzata in due, col centrocampo incapace di fare filtro e di tornare a far salire i giri del motore viola. Sotto ritmo e in affanno. L’assenza di Bove si fa sentire, certo. Ma forse è ancor più evidente quella di Cataldi, che nei pensieri del tecnico avrebbe permesso di attuare un centrocampo a tre insieme ad Adli e Mandragora (o Folorunsho all’occorrenza) per compattare il suo schieramento. Alcune scelte, poi, sono difficili da comprendere in questo momento. Una su tutte: perché concedere il giorno libero dopo una prestazione come quella col Torino? Si dirà che i giocatori ne avevano bisogno per alleggerire la mente, per provare a ricaricare le energie mentali. Giusto ma ci sono momenti in cui dare un segnale, sia a loro che alla piazza. E soltanto una settimana fa il ds Pradè aveva ribadito come dopo il ko di Monza la squadra avrebbe dovuto “cambiare regime“.
Stridono un po’ le dichiarazioni di inizio novembre, proprio dopo la vittoria di misura coi granata in trasferta: “Ci sono delle piccole sfumature che ti fanno capire questo gruppo quanto è competitivo – aveva detto il tecnico – A fine partita volevo lasciare il giorno libero domani ma i ragazzi non hanno voluto, hanno voglia di allenarsi e questo fa capire la voglia che hanno di crescere“. Fa riflettere. Così come, guardando al campo, pare complicata la scelta di impiegare ancora Colpani in queste condizioni. Rinunciando a Beltran e Sottil che con tutti i loro limiti sembrano avere una brillantezza migliore rispetto a tanti altri. Contro la Lazio, un girone fa, arrivò la svolta dell’intervallo con un nuovo schieramento tattico che ribaltò tutto. Adesso serve un’altra mossa, che possa rendere più solida una squadra che ha perso le sue certezze e si è intristita.
E qui arriviamo ai giocatori. Gosens nella sua analisi a fine gara col Torino è stato lucidissimo. Riassumendo: è più una questione di testa che di fisico (e a leggere i dati del report di fine partita le parole di Robin trovano riscontri netti). Ma il giocatore viola ha anche svelato un altro dettaglio che potrebbe essere determinante nel ragionamento sui perché della crisi. Ha parlato di ambizioni e aspettative che si erano create, in mezzo alla striscia di otto vittorie di fila, e che adesso non è possibile ottenere col “rischio di buttare via qualcosa che abbiamo costruito con grande impegno“. Non è facile sognare a occhi aperti per poi ritrovarsi a fare i conti con la realtà.
Qualcuno credeva di avere già le carte in regola per lottare per un posto in Champions senza dover passare dai momenti di crisi. Altri, forse, si sono sentiti più indispensabili peccando di presunzione. La fragilità tra vecchi e nuovi leader è stata acuita dalla messa fuori rosa di Biraghi e dalle dichiarazioni del suo procuratore indirizzate all’allenatore. La sensazione, poi, è che il gruppo abbia perso le sue certezze e i continui appelli all’unità, arrivati da più componenti, rimarcano questa situazione. Anche i giocatori hanno le loro responsabilità: meno egoismo e più coraggio dentro e fuori dal campo, meno post sui social e più corse per il compagno. Soltanto con compattezza, unità e sacrificio si può uscire a testa alta dalla crisi. E magari ricordarsi che la stagione è ancora lunga e la classifica non così malvagia.

Di
Matteo Dovellini