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Editoriali

Il momento più duro con il rischio di rovinare tutto. Fischi, fiducia e confronti: servono i fatti

Palladino e Kean - Fiorentina

Una crisi che va oltre i 2 punti racimolati nelle ultime 6 partite. Il percorso fatto non sia un alibi, ma un punto di ripartenza

Si dice nello sport, e vale anche per la vita in generale, che l’importante non è cadere, ma come ci si rialza. Luogo comune sì, parole facili quando poi a parlare sono sempre, e soprattutto, i fatti. Come nel calcio, dove hai voglia di parlare di allenamenti fatti bene, riunioni chiarificatrici, confronti, fiducia confermata, se poi i risultati non arrivano. Soprattutto, se poi le prestazioni sono come quelle della Fiorentina domenica contro il Torino.

SENZA ‘FAME’. La squadra di Palladino non era neanche partita male, si era creata gli episodi che avevano portato prima alla superiorità numerica e poi, poco dopo, al gol del vantaggio. Sembrava una partita in discesa, e invece lì è nato il patatrac. L’harakiri. Nessuna ‘fame’ di aggredire l’avversario, chiudere la partita, infierire su un Toro che sembrava alle corde e capace di capitolare con la sua fragilità difensiva. Nessuna risposta neanche dopo le prime avvisaglie di inizio ripresa, quando sui lanci di Milinkovic-Savic la squadra di Vanoli dava l’impressione di esserci. Soprattutto, nulla o quasi la reazione dopo l’1-1.

MENTALITA’. Questione psicologica. Di mentalità positiva che non c’è più. Così l’ha spiegata uno dei leader come Gosens domenica a caldo. Una squadra che prima sapeva reagire, e lo ha fatto tante volte, di fronte ad episodi negativi, ma che ora viene abbattuta da ogni minimo fatto contrario. Del resto che sul Viola Park aleggi confusione è abbastanza evidente. A partire dalle parole stesse dei protagonisti, dell’allenatore, di Pradè dopo Monza con risposta diversiva di Palladino, dei giocatori. E poi con i fatti, con la Fiorentina che nelle ultime settimane si è fatta più volte gol praticamente da sola (Comuzzo-Adli contro il Toro, Comuzzo e Moreno con il Napoli, Ranieri con l’Udinese gli episodi più eclatanti).

CONFERMATO. Fino alle scelte dell’allenatore. L’assetto con difesa a tre che inizialmente ha retto contro il Napoli per poi subire le contromosse di Conte, il centrocampo a due andato tante volte in sofferenza senza quella “corsa in più” che sembra (e forse lo è, per diversi motivi) la causa principale del crollo verticale viola. E poi Gudmundsson titolare a Monza e tolto al 45′, l’islandese sostituito (e non Colpani) a metà ripresa contro i granata. Tutte scelte imputate all’allenatore dalla piazza ma forse non soltanto, mentre Commisso e i dirigenti, per bocca di Ferrari nei giorni scorsi, hanno confermato la fiducia in Palladino. Niente scossoni, nonostante le pressioni da gestire che si fanno sempre più importanti. Specie per un allenatore giovane come l’ex Monza, per la prima volta in una piazza come Firenze, nel mezzo di un mercato che inevitabilmente destabilizza ancor di più.

IL BICCHIERE. Lo stesso Palladino, proseguendo la linea della difesa del lavoro e della squadra, ha parlato domenica in conferenza stampa di bicchiere mezzo pieno:I primi ad essere dispiaciuti sono i ragazzi, ma dobbiamo guardare anche il bicchiere mezzo pieno, cioè che siamo sesti in classifica. Abbiamo dietro squadre come Milan e Roma, siamo in linea con ciò che volevamo fare, siamo la 4° miglior difesa, abbiamo il ritorno da giocare. Dobbiamo sicuramente uscire da questo momento”. Ragionamento da un certo punto di vista giusto: se si guardano soltanto i numeri la Fiorentina è lì dove ad inizio stagione sperava di essere, a giocarsi le posizioni europee, magari l’Europa League per “migliorare quanto fatto negli ultimi anni”. Ed è il motivo per cui lontano da Firenze magari è poco comprensibile l’aria tesa che si respira a Firenze, la bordata assordante di fischi che è piovuta domenica prima ai cambi di Palladino, poi a fine partita. Quei cori “Meritiamo di più”, “tirate fuori le palle”, “rispettate la nostra maglia”, fino al classico: “Bisogna correre per vincere” raccontano di una parte importante della tifoseria (senz’altro quella allo stadio e in Ferrovia domenica) che ha puntato il dito contro una squadra e un allenatore fin qui sempre difeso. Una sorta di rottura rispetto ad un sostegno costante dimostrato fino ad adesso.

NON ROVINARE TUTTO. Ma il rischio, ora, è proprio quello di rovinare il percorso fatto. Quelle otto vittorie di fila, quella corsa fino al sogno di inserirsi nella lotta Scudetto. Nella lotta Champions. Certo, magari in tanti ci avevano fatto (anche giustamente) la bocca e i nodi ora sono venuti al pettine. Ma proprio quella cavalcata, i 33 punti fatti in 20 partite, il fatto di essere sopra (ma non di molto, con questo passo) a Milan e Roma (anche per demeriti loro, tra l’altro), non deve trasformarsi in alibi. In una sottovalutazione del problema attuale. Sarebbe un errore doppio, triplo. Ora contano i fatti, le prestazioni, l’aiutare davvero il compagno e sbracciarsi meno in campo. Farlo domenica prossima contro la Lazio non sarà facile, visto che la squadra di Baroni ha saputo invece superare i propri inciampi rimettendosi subito in carreggiata. Là dove nel girone di andata cambiò tutto, servirebbe un’altra scossa decisa. Anche con la mano dell’allenatore, come accadde in quel 2-1 al Franchi.

SCONTENTI E USCENTI. Certo che poi il mercato non aiuta. Folorunsho è arrivato per sostituire Bove e già ha dato una sua impronta. Bene. Benissimo. Serve però altro, specie se la lista dei partenti si arricchisce di giorno in giorno. Quarta ha già salutato e quello che doveva essere l’investimento più importante dell’estate, 16 milioni cash, ovvero Pongracic, è un oggetto misterioso. Moreno è un giovane ed evidentemente non è giudicato del tutto pronto, Valentini è appena arrivato e gli va dato tempo (forse anche fiducia) di recuperare condizione e conoscenze del calcio italiano. Biraghi è un separato in casa, Ikoné e Kayode non sono stati convocati perché sono in uscita, Kouame ha giocato gli ultimi minuti con il Torino ma è diretto proprio verso i granata. Restano insomma a disposizione in pochi, con un Richardson che a sua volta potrebbe cambiare aria e un Cataldi frenato dai problemi fisici. Da aggiungere anche Gudmundsson, che quanto meno con il Torino a dato dei segnali di risveglio anche se serve ora continuità e un apporto maggiore in zona gol.

I TEMPI. La Fiorentina aveva puntato forte su Luiz Henrique, disposta a mettere sul piatto anche cifre da 20 milioni di euro. Ora che la pista è sfumata, è Man uno degli obiettivi principali anche se il Parma sembra giocare al rialzo (gli oltre 15 milioni richiesti sarebbero un buon affare per il classe ’98 rumeno?). Ma servirà probabilmente tempo per portare a Firenze un esterno destro che possa dare una mano (magari far fare un salto di qualità, vista l”ambizione’ sempre professata) a Palladino, che al contempo là si ritrova solo un Colpani che sembra la bruttissima copia della versione di Monza (almeno quella del girone d’andata dello scorso anno, perché anche in Brianza da inizio 2024 fece tanta fatica). I dirigenti vorrebbero prendere un altro centrocampista, ma anche qui tempi brevi non se ne scorgono. Servirà poi un sostituto di Kayode, magari quel vice-Kean mancato dall’estate (potrebbe essere Sanabria, anche se le caratteristiche sono molto ma molto diverse e il paraguaiano ha faticato in granata quando schierato da punta unica). Anche le uscite non saranno facili, tra la voglia di incassare (specie per Ikoné e Kayode) e il limite dei 6 giocatori over da poter cedere all’estero a titolo temporaneo: al momento ci sono Barak, Brekalo, Sabiri, Amrabat, Nzola, Infantino in prestito fuori dall’Italia, altri slot non sono disponibili. Un tetris da risolvere anche in questo caso.

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