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Editoriali

Il Tap-In – Non ci resta che la Conference

Il crollo di Verona rischia di rendere anonimo il campionato della Fiorentina. C’è il cammino in Conference League per tenere viva la stagione

Nella lunga attesa in sala stampa al Bengodi, dopo la sconfitta in pieno recupero contro il Verona, per un attimo ho pensato che il club avesse preso la decisione dell’esonero di Raffaele Palladino. Un pensiero mi ha sfiorato, guardando una Fiorentina prima in confusione, poi impalpabile e infine frastornata da quel gol di Bernede che in un colpo solo ha svelato tutta la fragilità dei viola. L’errore di Caprini (che ci faceva lì?), la scivolata a vuoto di Pablo Marì, la finta a mettere fuori gioco Comuzzo e la rete che rischia di condannare i viola a un altro campionato anonimo. Questa era la grande preoccupazione che aveva seguito i giorni dell’euforia. La grande trappola da evitare, ribadita anche dalle parole della società nelle scorse settimane. “La cosa che non vogliamo assolutamente fare è un campionato anonimo – aveva detto il direttore sportivo Pradè dopo il ko col Como – Siamo ambiziosi, anche il mercato lo ha dimostrato”. Anonimato e ambizione. Due concetti che certo non possono coesistere ma che rischiano di fondersi proprio a Firenze. Mentre frullavano nella mia mente chissà quali pensieri, alla fine Palladino è spuntato dalla porta della sala stampa e si è preso le sue responsabilità senza accampare chissà quali alibi. Il gioco, le idee, quella “pressione” sulla squadra da “alleggerire”. Sguardo velato da tristezza e delusione, così come quello di Cataldi che centra uno dei problemi che accompagnano il suo gruppo: “Ciò che ci aveva contraddistinto nei mesi precedenti è il fatto che fossimo una squadra che non sprizzava bel gioco ma che era unita, che vinceva i contrasti. Ora ci sta mancando tutto questo”. Il gioco, appunto. Non era codificato neanche nel periodo d’oro, quando tutto girava per il meglio. Eppure la squadra ci credeva, aveva trovato una sua forma e si muoveva compatta ben consapevole di limiti e risorse. Quella vista col Verona, e prima col Como ma anche in altre occasioni, è una Fiorentina sfilacciata, disorientata, che non riesce più a visualizzare il proprio obiettivo.

Una squadra che ha smarrito sé stessa

Dall’essere ambiziosi, parola diffusa la scorsa estate dalla dirigenza senza dare chiara forma al suo significato, alla Champions ammirata dopo le otto vittorie di fila fino all’Europa League prima e allo spettro di rimanere fuori da qualsiasi discorso adesso. Un tracollo verticale che non può essere ricondotto unicamente all’assenza di Edoardo Bove (e allo shock che ha generato) o alla mancanza di gioco o ancora (come sostenuto ieri in parte dall’allenatore) ad alcuni infortuni pesanti come Gudmundsson, Adli e Colpani. Quel che manca è l’anima, lo spirito di squadra, il suo carattere, la sua identità. La Fiorentina adesso è un corpo indefinito, che si sostiene a fatica e che rischia di venire travolto dalle concorrenti. La classifica avrebbe dovuto caricare i viola, complice anche l’ultimo turno più che favorevole. E invece: nessuna voglia di spaccare il mondo, nessuna reazione, nessun cambio di velocità, nessuna solidità mentale.

Fiducia a Palladino nel silenzio ufficiale

La società ha confermato la fiducia in Palladino. Nessun dirigente ha aperto bocca dopo la sconfitta di Verona (la terza di fila) e non risultano riflessioni in corso con la squadra che si è regolarmente allenata al Viola Park in vista della sfida di venerdì sera contro il Lecce. E’ chiaro che al di là dei messaggi più o meno informali che filtrano, la gara coi salentini sarà cruciale anche per il futuro del tecnico. Il quale avverte questa pesantezza ed è consapevole di essere in discussione. Si è messo lui per primo e nel bene o nel male, si è assunto le sue responsabilità. Forse il club ha riflettuto concretamente su un suo possibile esonero a inizio gennaio, dopo il tonfo sul campo del Monza che aveva certificato la quarta sconfitta nelle ultime cinque (un solo punto raccolto). Ma al netto degli sfoghi di Pradè, tutto è rimasto come prima. Il mercato ha sostenuto il tecnico, non ha colmato la primordiale assenza di un vice Kean (auguri di pronta guarigione a Moise), ha spedito Valentini a Verona (prendendo Pablo Marì) e concluso altre operazioni di rilancio di giocatori che non trovavano spazio altrove. Niente è compromesso, sia chiaro. Ma se la Fiorentina non troverà anima e gioco, sarà impensabile raddrizzare la stagione. Le concorrenti, Roma compresa, sono in corsa e due di queste rischiano di rimanere fuori da ogni porta europea.

La Conference come salvezza

Con una differenza, e qui torniamo al titolo dell’editoriale: la Conference. Ancora lei, incredibilmente lei. La Fiorentina potrebbe centrare l’Europa League vincendo quella Coppa che non è riuscita ad alzare nelle due precedenti finali. Panathinaikos la prima sfida da non fallire. Poi molto probabilmente Lugano, Real Betis e infine il Chelsea candidato numero uno al trionfo. E’ un rischio enorme riporre tutte le speranze sulla Conference, anche perchè i viola conoscono bene quanto sia complicato il cammino e soprattutto la gara secca finale che non ammette errori di approccio e di interpretazione. Ma adesso quella Coppa, che fino a poche settimane fa pareva d’intralcio, è diventata cruciale per provare a non disperdere totalmente quanto raccolto a inizio percorso. Ed è bene che su questo concetto si rifletta a lungo dentro la società. Perché se la stagione non sta procedendo come desiderato e la squadra sta vivendo un lungo periodo di difficoltà rischiando di finire ancora una volta nell’anonimato, è giusto che tutte le componenti del club si assumano le loro responsabilità. Nessuno escluso. 

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