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Editoriali

Il bicchiere mezzo pieno e il rischio di un’altra stagione anonima

Il Tap-In di Matteo Dovellini Palladino Fiorentina

Dai sogni Champions alla discontinuità, la squadra fatica a trovare identità e gioco. Serve una svolta per evitare una stagione anonima

Giovedì sera la Fiorentina si giocherà il passaggio ai quarti di finale di Conference League. Una gara chiave per Palladino e i suoi che dovranno ribaltare quanto accaduto ad Atene contro un Panathinaikos che proverà a compattarsi e a ripartire al momento opportuno. Il cammino verso la finale è ancora lungo ma la Conference, e dunque la possibilità di alzare un trofeo e automaticamente centrare la qualificazione alla prossima Europa League, rappresenta un obiettivo primario per il club viola. Fin qui niente di nuovo e anzi, l’appello a chiunque possa di riempire il Franchi per spingere Kean e compagni un po’ più in là verso il Wrocław Stadium di Breslavia (Polonia) sede dell’ultimo atto.

L’entusiasmo e la realtà

Premessa doverosa, specie in questo momento. Perché pensando al resto della stagione, non vedo tutti questi messaggi straordinariamente positivi attorno alla Fiorentina. Ho ascoltato con attenzione le dichiarazioni dei protagonisti, sia nel pre che nel post partita. “Chi non è all’interno della Fiorentina, del Viola Park, non capisce che unione d’intenti c’è. Il periodo non è bello, è vero, ma ce la giochiamo tutti insieme. E speriamo di arrivare alla sosta con buoni risultati alle spalle“, ha detto il direttore generale Alessandro Ferrari. Dunque il direttore sportivo Daniele Pradè, tornato a parlare dopo qualche settimana di silenzio: “Nelle stagioni ci sono passaggi non esaltanti, ma ho visto il mister fiducioso e per me è importantissimo. Ha parlato alla squadra in una maniera che mi è piaciuta molto“. Palladino ha aggiunto: “Ho visto tanti aspetti positivi, stiamo crescendo e la strada è quella giusta. Non bisogna essere sempre negativi. Ripartiamo da qui, ho bisogno di lavorare ancora con la squadra“. E infine Pablo Marì, tra i meno brillanti contro Lukaku e Raspadori: “Noi non abbiamo problemi, andiamo a tremila ogni partita. Venire al Maradona e tenerla aperta fino alla fine vuol dire aver fatto una grande prestazione“.

Col Napoli uno dei baricentri più bassi di sempre

Evidentemente ho visto un’altra partita. Al Maradona il primo tempo è stato a senso unico. Napoli in dominio, De Gea che deve compiere gli straordinari (dopo l’errore su McTominay) e Fagioli che predica nel deserto di idee viola. Baricentro della squadra a 39 metri, tra i più bassi di sempre in stagione (Napoli a 59 metri). Basti pensare che nella gara della pura sofferenza, quella di gennaio all’Olimpico contro la Lazio, nel secondo tempo il baricentro della squadra viola era rimasto comunque più alto di quanto visto nella prima parte al Maradona. Meret per larghi tratti è stato uno spettatore privilegiato per la posizione in campo. Ritmi bassi, tanta corsa a vuoto, enorme difficoltà nel mettere palla a terra e ragionare.

La ripresa è stata senza dubbio migliore, anche perché non penso si potesse peggiorare la prima parte. Il baricentro si è alzato ma comunque rimanendo più basso rispetto al Napoli e alla fine l’arrembaggio finale (così come qualcuno l’ha descritto) non ha portato a niente di concreto. Totale: 2 tiri in porta in tutta la gara, concedendone sei volte tanto agli avversari che per ben 14 volte sono arrivati a calciare verso De Gea da dentro l’area dei viola.

Dalla Champions allo spettro del campionato anonimo

Insomma, tutto questo ottimismo e tutta questa grande euforia per la prestazione al Maradona francamente mi pare fuorviante e non aderente alla realtà di quanto stia accadendo alla squadra viola. Dai sogni Champions alla volontà del tecnico di voler migliorare il girone d’andata in termini di punti, dalle amarezze esternate dal direttore sportivo in alcune sconfitte chiave al Viola Park che torna a essere il fortino dove tutto risplende alla faccia di chi non ci vuol credere. Tutto scorre tra bicchieri mezzi pieni (cit.), grosse risate di Palladino e dei suoi alle critiche sull’andamento della squadra (altra cit.), pranzi col direttore e grandi rapporti di fiducia e stima.

Peccato che nel frattempo la parola d’ordine sia diventata “discontinuità” e la classifica sia scivolata fuori dalla zona Europa come non accadeva da mesi ormai. Il Bologna è fuggito, la Roma che era lontanissima ha compiuto il sorpasso e nonostante la crisi profonda il Milan è a un solo punto. Ecco perché, e lo si può intuire, la Conference sia tornata cruciale e strategica come avevo ipotizzato qualche settimana fa. Ma segnalo, a chi evidentemente ha un filtro differente dal mio nel grado di valutazione, che il club a inizio anno aveva indicato la via dell’ambizione. Quella in cui alzare l’asticella, puntare all’Europa più nobile ed evitare così di finire a fare i conti con un altro campionato “anonimo”. Palladino ha le sue responsabilità (no idee, no gioco, no identità) e magari qualcuno vorrebbe farlo passare per il capro espiatorio di questa situazione.

È il calcio, la normalità a volte davvero brutale di questo mondo. Ma se nei periodi più brillanti tutti corrono a metterci la faccia e a prendersi i meriti salendo così sul piedistallo, è bene ricordarsi che nel momento più buio tutti debbano assumersi le loro responsabilità per capire cosa non abbia funzionato e magari, chissà, fare un passo avanti verso una sana e umile autocritica. Nessuno escluso.

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