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Editoriali

Il bias cognitivo attorno alla Fiorentina di Raffaele Palladino

Il Tap-In di Matteo Dovellini - Palladino Fiorentina

Dopo la vittoria contro il Lecce, il tecnico viola difende il suo operato e parla di bias cognitivi nel giudizio sulla squadra. Ora inizia un ciclo decisivo tra Conference e big match di Serie A.

C’è un cortocircuito evidente tra la vittoria della Fiorentina contro il Lecce e alcuni fischi piovuti dal Franchi nella notte più delicata per Palladino e i suoi. C’è un equivoco che mi è parso lampante quando il tecnico a fine gara ha esternato il suo disappunto per alcune critiche che reputa fuori luogo. “Lo dite voi che i giocatori non mi seguono, loro seguono alla perfezione quel che viene richiesto – ha detto rispondendo a una domanda in sala stampa – quando dico che i ragazzi sono uniti e sono dalla mia parte, vuol dire che fanno di tutto per portare la Fiorentina in alto e quando scrivete queste cose i ragazzi ci ridono sopra. Si è detto che mettevo i giocatori fuori ruolo, quante cose si sono dette: ma non ci toccano e dobbiamo essere bravi a fare le prestazioni giuste. Dobbiamo essere camaleontici“. Una squadra che è sesta in classifica, in piena lotta per l’Europa, che vuole arrivare in fondo alla Conference League e che è totalmente immersa nella fase cruciale della sua stagione. Mi sono detto: qualcosa non torna.  

È come se tutta questa situazione fosse riconducibile a un bias cognitivoPer farla semplice col termine “bias” si fa riferimento a una distorsione nei processi mentali di giudizio e valutazione i quali si basano su un solo aspetto o, nel caso della Fiorentina, su un solo periodo temporale dal quale poi scaturisce il ragionamento che si pensa sia quello corretto. Per essere ancora più concreti: è come se il giudizio sulla Fiorentina di Palladino si fondasse, per una parte dell’opinione pubblica, su quelle otto vittorie di fila conquistate in autunno che videro balzare i viola nelle parti altissime della classifica. Si discuteva di Champions, altri addirittura accarezzavano il sogno di poter lottare fino all’ultimo per un sogno. Legittimo, appunto. Ma non aderente alla realtà. “Quelle vittorie hanno dato una percezione diversa all’ambiente, stiamo facendo un ottimo campionato e negli ultimi cinque anni la Fiorentina non aveva mai fatto meglio – ha detto non a caso dopo la vittoria col Lecce – Poi vogliamo essere ambiziosi e portare i viola più in alto possibile ma siamo in un momento difficile con diversi infortunati“. Qualche mese dopo, con la classifica che si è delineata e vede ben definita la lotta per le varie posizioni, tutto pare più chiaro. Se la guardassimo adesso, senza pensare a quale sia stato il cammino dei viola fin qui, penseremmo che la Fiorentina è in linea con quanto dichiarato dalla società a inizio stagione: ovvero alzare l’orizzonte delle proprie ambizioni, non accontentarsi del piazzamento Conference, provare a salire un gradino. In fondo i viola sono pienamente invischiati in una corsa che vede una concorrenza agguerrita e che è ancora lunga. Eppure il pensiero corre a quella serie positiva più unica che rara e forse anche ad alcuni successi che hanno illuso che il gap con le grandi potesse essere già colmato nel giro di pochi mesi. Ma non è così, chiaramente.

Palladino, al quale è giusto chiedere che la sua squadra sviluppi un gioco migliore e maggiormente codificato specie nelle situazioni di prevedibile dominio (come col Lecce e, in generale con le medio piccole del campionato) e che si prende tutte le critiche del caso e anche i fischi che i tifosi possono far piovere sulla sua testa, su un punto ha totalmente ragione secondo me. Sul fatto che questo, per lui, sia il primo anno di un percorso avviato la scorsa estate e che ha visto la sua rosa rivoluzionata in sintonia con la società. Nuovi volti, nuovi leader, nuovo sistema di gioco e per il club anche nuove ambizioni come giusto che sia per una piazza che non può certo accontentarsi della lotta per la settima posizione e per l’Europa meno nobile (con immenso rispetto). Il tecnico lo ripete da giorni: ha ricordato da dove venga la sua squadra, del tempo necessario per formare un gruppo collaudato e affiatato, della pazienza che si deve ai nuovi innesti (Fagioli e Zaniolo ne sono un esempio, ancora lontani dall’essere amalgamati). Chiede tempo, consapevole che la sua squadra abbia futuro e prospettiva ma che nessuno abbia in mano la bacchetta magica. Forse nelle scorse settimane si aspettava maggiore protezione da parte della sua società che, in alcuni casi, non ha preso pubblicamente parola dopo alcune sconfitte pesanti. La telefonata col presidente Commisso, avvenuta prima della gara col Lecce, è un bel segnale. Ma dopo gli sfoghi delle scorse settimane, il direttore sportivo Pradè non ha proferito parola sia dopo il ko col Verona che dopo il successo al Franchi e questo ha fatto discutere molto anche nell’ambiente. 

Adesso inizia un ciclo di ferro, tosto e decisivo per le ambizioni dei viola. Dalla doppia sfida di Conference contro il Panathinaikos ai quattro scontri diretti in serie: Napoli, Juventus, Milan, Atalanta. La Fiorentina si gioca tutto e la buona notizia arriva dal fronte offensivo: sia Kean che Gudmundsson stanno tornando. Il primo ha smaltito il trauma cranico, è tornato ad allenarsi e potrebbe finire tra i convocati già giovedì prossimo ad Atene per poi essere al top al Maradona contro il Napoli (e rispondere così anche alla convocazione della nazionale), il secondo è entrato nei minuti finali col Lecce e si è divorato la rete che avrebbe chiuso la gara. Due giocatori fondamentali che potrebbero risolvere parecchi problemi e alimentare la fiducia nel finale di stagione. Al resto è giusto che pensi Palladino: dal gioco alle scelte, dai sistemi alla gestione del gruppo. La speranza è che il successo col Lecce abbia spezzato il trend negativo e rimesso i viola sui binari dell’entusiasmo che passa anche da vittorie non brillanti ma decisive come quella al Franchi. 

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