De Gea e Kean, ma non soltanto: la Fiorentina può restare in alto. Solo con Prandelli i viola fecero più punti dopo 13 giornate
Qualcuno tempo fa diceva che se hai in squadra un portiere che para e un centravanti che segna sei già a metà dell’opera. Altri proprio sul binomio portiere-attaccante ci hanno costruito un fortunato manga e il relativo anime, Holly e Benji. Del resto, numero 1 e numero 9 sono i due ruoli più decisivi del calcio. E David De Gea e Moise Kean, al di là della numerazione ufficiale di maglia, decisivi lo sono davvero. A dimostrazione che sì, avere un fuoriclasse tra i pali e un centravanti vero là davanti fa tutta la differenza del mondo.
RINATI. A Como l’ennesima dimostrazione di una lunga serie. La tripla parata clamorosa dello spagnolo, unita alla sicurezza che l’ex United dà a tutta la squadra, il gol dell’attaccante italiano, il 12° in 15 partite in maglia viola (il 7° nelle ultime 4 gare), oltre al suo lavoro fondamentale per i compagni. Due scommesse vinte, fin qui stravinte, da parte di società e allenatore, che insieme hanno puntato sul rilancio di due ragazzi che, per motivi diversi, aspettavano una chance così. Un ambiente così. Il primo dopo un anno fermo dopo essere stato scaricato dal Manchester, il secondo dopo stagioni con poca fiducia, poche certezze e tanto girovagare.
SPINA DORSALE. Ma la Fiorentina non è solo De Gea e Kean. C’è una spina dorsale che funziona, che dà sicurezze, che ha portato ad un’identità precisa, a delle basi sulle quali sono state costruite le 7 vittorie di fila in campionato. Roba che non si vedeva da 64 anni. Perché c’è una coppia difensiva, quella formata da Comuzzo e Ranieri, che da quando gioca insieme nella retroguardia a quattro (dal 2° tempo contro la Lazio) ha fatto passare 3 gol (ininfluenti, contro Milan, Roma e Verona) in 665 minuti esclusi recuperi (un gol ogni 222 minuti, cioè ogni due partite e mezzo). Ci sono due terzini, Gosens e Dodo, che sanno essere ali quando attaccano e difensori quando difendono, che hanno personalità palla al piede e peso specifico enorme nello spogliatoio. C’è un centrocampo ben assortito che ruota a seconda delle necessità: Cataldi con personalità, regia e ottima capacità di coprire gli spazi, Adli con classe innata e colpi di alta qualità, Bove con dinamismo, corsa, capacità d’adattamento ma anche piedi buoni.
FRECCE. Intorno a loro gira la Fiorentina. Con un Beltran che ha saputo in fretta diventare decisivo quando serviva, con il suo lavoro a tutto campo, la sua intelligenza tattica e la sua qualità: i 2 gol e i 4 assist nelle ultime 6 di campionato lo certificano, ma non raccontano anche tutto il lavoro per la squadra che produce. Con un Colpani importante nel sacrificio ma che ancora può e deve crescere in qualità là davanti, con un Sottil che sta finalmente emergendo con le capacità fisiche e tecniche che solo a sprazzi aveva tirato fuori, con un Gudmundsson che sta tornando e farà salire il livello complessivo della squadra.
ALLA CHAMPIONS. Il prossimo step sarà quello di ‘allargare’ questo blocco di protagonisti. Da Quarta a Kouame, da Pongracic a Kayode, da Mandragora a Biraghi e Parisi, aspettando anche l’infortunato Richardson che aveva fatto intravedere buone cose. Perché una Fiorentina che vuole restare competitiva sui tre fronti ha bisogno di tutti, anche di chi fin qui ha convinto meno. Ma questa squadra ha tutto per restare tra le protagoniste del campionato e puntare alla Champions. Qualcosa di impensabile un paio di mesi fa. Perché sette vittorie di fila non si fanno per caso. Perché in rosa ci sono tante risorse, tante caratteristiche diverse da mettere insieme. C’è un allenatore che ha creato un grande feeling con il gruppo, che sa leggere le partite e comprendere i suoi ragazzi, ha l’umiltà di capire quando cambiare e quando coprirsi con un difensore in più per portare a casa un risultato importante. Come a Como. C’è un ambiente che sembra spingere finalmente unito verso la stessa direzione, con meno battaglie da combattere su diversi fronti.
ENTUSIASMO. E rispetto ad altre rivali la Fiorentina ha meno pressioni e più entusiasmo. Arriveranno momenti difficili, ma intanto la formazione di Palladino sta scompaginando i piani di diverse squadre lassù, anche se a livello mediatico in tanti continuano a sottovalutare questa Fiorentina. “La super Atalanta…”, “la super Lazio….”, “l’Inter campione in carica…”, “il Napoli di Conte…”, “la Juve che è sempre la Juve…”. Meglio così, forse. Ma i numeri non mentono. Sette vittorie di fila, cinque trasferte consecutive senza prendere gol, il 4° miglior attacco con 27 gol segnati, la 3° miglior difesa con 10 gol subiti, i 21 punti fatti in 9 partite contro chi stazione nella parte destra di classifica. Un salto di qualità importante è stato fatto anche da quest’ultimo punto di vista, riuscire a vincere partite delicate in cui magari il gioco non è quello delle giornate migliori.
COME SOUSA E IL TRAP. I 28 punti dopo 13 giornate (+8 sullo scorso anno) sono gli stessi che raccolse anche Paulo Sousa al suo primo anno (2015/2016), così come gli stessi del 1998/1999 con Trapattoni. Annate in cui la Fiorentina fece sognare (con epiloghi amari, per motivi e modi diversi), mentre nell’era dei tre punti a vittoria (dal ’93) solo una volta i viola hanno raccolto più punti dopo 13 giornate, nel 2005/2006 con Prandelli (29 sul campo). Mai invece, a questo punto del campionato, negli ultimi 65 anni la Fiorentina aveva avuto una differenza reti così alta (+17 tra fatti e subiti). Numeri e riferimenti ad altre stagioni che aiutano a dare una dimensione di quello che sta facendo il gruppo di Palladino. Nessuno pone limiti e obiettivi, ma restare in alto si può.
Di
Marco Pecorini