In tanti delusi dalla qualificazione Conference, ma questa Fiorentina era così più forte delle prime 5 per andare oltre?
Stagione finita, via ai bilanci di un’annata fatta di tante contraddizioni, paradossi, altissimi e bassissimi, vittorie contro quasi tutte le prime del campionato (alcune anche clamorose) e sconfitte altrettanto pesanti contro chi è retrocesso, il record delle 8 vittorie di fila, il primato ad un passo, e partite ai limiti dell’inguardabile. Poi i risultati. Sesto posto con 65 punti in campionato, mai negli ultimi 12 anni la Fiorentina aveva fatto così tanti punti e nell’ultimo decennio mai era arrivata in questa posizione. C’è da essere soddisfatti? Solo in (piccola) parte, è evidente. Il rammarico, se non la delusione, è diffuso, anche all’interno della società, dello staff tecnico e della stessa squadra.
TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO. Poi le coppe. Che negli ultimi anni avevano dato quel qualcosa in più alla stagione. Usciti agli ottavi di Coppa Italia contro l’Empoli, ma con lo scossone per il malore di Bove fresco di pochi giorni a dicembre. Usciti in semifinale di Conference contro il Betis, forse l’avversaria più forte affrontata in Europa in questi anni. Anche qui insomma, il piatto piange. Ma a conti fatti c’è spazio per tutto e il contrario di tutto. Per chi giudica buona la stagione e ha gioito per la conferma in Europa, per chi si aspettava di più. Per chi è con l’allenatore e per chi ha cantato a gran voce “salta la panchina”, per chi è disposto a dare fiducia alla società e per chi invece ha criticato fortemente anche nelle ultime settimane.
UN 6° POSTO… DA CONFERENCE. Alcuni punti fermi. È vero che in campionato negli ultimi 10-12 anni non si raggiungevano certi risultati, ma è altrettanto corretto sottolineare che non ci possano essere caroselli per la 4° qualificazione di fila in Conference. Era stata giustamente celebrata al primo anno di Italiano, come ritorno in Europa (anche se era un 7° posto), quest’anno tutti si aspettavano di più. Come da “ambizione” sbandierata dalla società, come da mantra ripetuto all’interno del gruppo squadra fin da quelle famose 8 vittorie di fila. Però c’è anche il risvolto della medaglia. Se fare il paragone dei punti conta il giusto, è altrettanto vero che la Fiorentina fino a 2-3 giornate dalla fine se l’è giocata anche per obiettivi più importanti, e che comunque al 6° posto i viola ci sono arrivati. Non è insomma “colpa” di Palladino, oppure di Ranieri e compagni, se la vincente di Coppa Italia ha tolto un posto europeo dalla griglia del campionato, o se quest’anno nel Ranking Uefa l’Italia è arrivata terza e non seconda. In altre stagioni è semplicemente “andata meglio”, anche con un rendimento peggiore.
FIORENTINA PIU’ FORTE? E poi la madre di tutte le discussioni. “E’ la Fiorentina più forte della gestione Commisso”, è stato ripetuto per mesi, anche dall’interno del club. Probabilmente vero, singoli eccellenti come Kean, De Gea e Gosens non ci sono mai stati. Ma sicuri che fosse una squadra decisamente più forte delle prime 5 che la Fiorentina non è riuscita a superare, ovvero Napoli, Inter, Atalanta, Juve e Roma? E che comunque essersi messi dietro Lazio, Milan e Bologna non porti alcun merito? I dubbi rimangono. Così come per il concetto di “squadra più forte” degli ultimi anni. Perché la differenza si è fatta nei dettagli (come spesso accade), nei ricambi che non si sono dimostrati all’altezza o che non c’erano proprio. E questa Fiorentina, che con i migliori (a volte anche incerottata) ha dimostrato di giocarsela con le prime, si è rivelata una rosa incompleta e non ben costruita nel suo complesso. Senza un vice-Kean da inizio anno e senza un esterno destro di riserva da gennaio (scelte che hanno pesato tantissimo nel momento decisivo), con la coperta corta in difesa, con tanti giocatori fisicamente precari soprattutto in avanti. Insomma, si poteva e si doveva fare di più sul lato società, sul lato allenatore, sul lato giocatori. Ma parlare di fallimento, considerando il tutto, è forse eccessivo.
PRO E CONTRO. Capitolo Palladino. A conti fatti, detto che dai tifosi sono arrivate critiche feroci e dalla proprietà continui attestati di fiducia, sono più i meriti o i demeriti dell’allenatore? Tra i pro l’aver saputo prima convincere e poi valorizzare diversi giocatori, Kean su tutti, ma anche Comuzzo, Dodo, Mandragora, Ranieri. L’aver saputo cambiare veste tattica nei momenti di difficoltà, magari non sempre con grande tempestività ma comunque con grande intelligenza che va riconosciuta. L’aver soprattutto creato un gruppo forte, unito, che ha saputo seguirlo e andare oltre gli ostacoli, le critiche, i momenti complicati, i tanti infortuni. Le vittorie contro Inter, Atalanta, Juve, Roma, Lazio, Milan e Bologna sono un pregio, spesso è lo scalino più difficile da salire in un percorso di crescita. Tra i contro soprattutto un’idea di calcio che ha lasciato tante volte sgomenti quando si trattava di tenere il pallone tra i piedi. Dalla prima costruzione alla gestione di azioni offensive. Si può anche scegliere di difendere e ripartire, ma sapendo come muoversi negli spazi e gestire il pallone. Qui invece troppe volte questo è mancato. E la riprova si è avuta contro le piccole. Poi, sempre tra i contro, quei giocatori (più volte anche fuori ruolo) che non sono riusciti a rendere come si sperava, forse anche per il tipo di gioco di Palladino. Gudmundsson su tutti. Quindi la gestione degli impegni ravvicinati, non sempre ottimale. E le tempistiche, non sempre rapidissime, di reazione per correggere le partite in corsa o per invertire trend negativi.
E LA SOCIETA’… Aspetti, questi ultimi, nei quali però serviva sicuramente maggior supporto della società. Che invece a volte non ha lesinato qualche frecciata più o meno diretta e pesante. Se si è scelto la scorsa estate un allenatore giovane, con certe idee di calcio, andava supportato da vicino proprio nella gestione quotidiana. Qualcosa è mancato, è evidente, perché il tecnico più volte si è trovato quasi da solo a difendere certe situazioni. Anche nella “narrazione” della stagione. Da un lato si è sbandierata la famosa “ambizione”, dall’altra si è data una formazione seppur competitiva ma incompleta a un allenatore giovane, a cui necessariamente andava (e va) concesso tempo. Ce n’è poco nel calcio, ma se si vogliono per forza subito raggiungere degli obiettivi allora si fanno altre scelte. Oppure si accompagna questa crescita con allentando le pressioni, anziché alimentarle. Un’annata in cui c’è stata una doppia rivoluzione, prima in estate e poi a gennaio. Con acquisti fatti sempre negli ultimi giorni. Trattasi di ricostruzione insomma, mica di consolidamento. Per questo, forse, troppi paragoni con gli ultimi anni hanno senso fino ad un certo punto. Ovvio, poi, che la piazza si senta delusa. Stanca. Che voglia di più. Ma qui allora il discorso va oltre, si proietta verso chi sta portando avanti questa gestione, verso chi ha sempre chiesto tempo ma dopo 6 anni non è riuscito a riportare la Fiorentina in Champions e nemmeno in Europa League. In un periodo in cui nel calcio italiano c’è stato spazio per inserirsi tra le storiche ‘grandi’, in cui c’è stato modo per tante realtà di vincere qualcosa, togliersi soddisfazioni, giocare partite internazionali di alto livello. Domani è prevista la conferenza di fine stagione, da cui si potrà capire qualcosa in più sul futuro. Come sempre però, al di là delle parole, parleranno i fatti.
Di
Marco Pecorini