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Editoriali

Pradè, le analisi profonde e la sindrome del Gattopardo

Pradè il tap-in di Matteo Dovellini

L’illusione del cambiamento: analisi di un cortocircuito tecnico e dirigenziale in casa viola

Ci risiamo, di nuovo. La Fiorentina affonda contro il Venezia, rischia seriamente di abbandonare ogni speranza di poter ambire a qualsiasi sfumatura d’Europa, arrivano i fischi dei tifosi viola in trasferta (circa 700, applausi) e l’azzardo preso dal club con l’estensione di contratto di altre due stagioni per Raffaele Palladino si materializza e spacca l’ambiente che adesso si interroga sul futuro di una squadra che aveva ben altre ambizioni all’inizio di quest’anno. Alzare l’asticella, migliorare quanto ottenuto nell’ultima stagione con Italiano, costruire un percorso che potesse essere solido e all’interno del quale aggiungere e non più sottrarre a somma zero.

Poi però, in mezzo al diluvio del Penzo, arrivano le dichiarazioni del direttore sportivo Daniele Pradè. In linea con le tante parole espresse in questi mesi, specie nei momenti di massima difficoltà. “Abbiamo lasciato 8 punti tra Venezia e Monza, sono cose da analizzare”. E poi, ancora più centrato: “Col presidente e Ferrari dicevamo di fare delle analisi profonde perché una squadra che vince con Milan, Inter, Juventus e Lazio e poi fa queste prestazioni, ti lascia tantissima amarezza. Noi siamo ambiziosi, fortemente, con una proprietà molto forte: e in queste condizioni, devi fare risultato”.

Ci risiamo, appunto. Ancora una volta Pradè mette in risalto quel che non ha funzionato nella gestione di Palladino ed è inutile ricordare le varie affermazioni sul tecnico. Dal “suicidio” tattico alla riflessione “abbiamo perso umiltà e identità”. Da “è il momento di cambiare regime” ad “abbiamo giocato solo 7 minuti” fino a quei “mal di pancia” di gennaio quasi a stanare i giocatori con la testa altrove. Senza dimenticare il vero pericolo per il direttore sportivo: “La cosa che vogliamo assolutamente evitare è quella di disputare un campionato anonimo – disse dopo il ko col Como – noi siamo ambiziosi, anche il mercato fatto a gennaio lo ha dimostrato”.

La sindrome del Gattopardo

In mezzo a tutto questo, con una mossa che ha sorpreso lo stesso Palladino (e forse non solo), è arrivata l’estensione del suo contratto fino al 2027. Voleva essere un messaggio positivo e di totale fiducia alla vigilia della semifinale di ritorno di Conference, si è trasformato in un potenziale e clamoroso autogol. La Fiorentina fuori da tutto, col rischio di finire in nona posizione e dunque peggiorare anche l’ultima stagione. Non esattamente in linea con quanto richiesto la scorsa estate, sulla scorta di quel comunicato della Curva Fiesole stufa di ottavi posti e anonimato. L’anonimato, appunto. Ma qui bisogna provare a essere chiari. Quando il ds parla di “analisi profonde”, dopo la disfatta di Venezia, a chi si riferisce?

A Palladino è stato appena prolungato il contratto su forte indicazione e volontà del presidente Commisso. Quindi? Ai giocatori, certo. Chi non ha reso quanto desiderato, chi in netta flessione, chi non ha ancora rinnovato, chi potrebbe andare altrove senza l’Europa, chi ancora non congeniale per questo gruppo.

Forse ci sarà spazio anche per un’autocritica: non aver preso, per scelta, un vice Kean. Aver ceduto, per scelta, un vice Dodo. Aver portato in viola, in mezzo a qualche ottimo affare (De Gea, Gosens e Moise su tutti) anche alcuni giocatori che si sono rivelati non all’altezza. Quasi tutti in prestito con diritto oppure obbligo a determinate condizioni. Col serio rischio, ancora una volta, di cambiare tutto per ottenere il medesimo risultato. La sindrome del Gattopardo, celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa che avvertiva: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Analisi profonde ma su chi?

Analisi profonde, insomma. Ancora due gare, Bologna e Udinese, e poi il club avvierà le proprie riflessioni. Abbiamo detto del gruppo e dei suoi singoli, in mezzo ai riscatti e quell’incognita Europa che pesa sul destino di alcuni protagonisti. Kean sopra tutti ma non solo. Analisi profonde probabilmente anche sul gioco che non c’è, sull’identità mai formata, su un impianto che si è affidato più al talento dell’io che alla qualità corale del noi. In società hanno ripetuto che il club è ambizioso, la squadra anche, gli investimenti pure.

E allora? Se tutto questo non ha portato ai risultati sperati, perché non avviare analisi profonde anche sul tecnico? Un enorme peccato non aver approfittato di un campionato alla portata. Basti pensare che una vittoria col Venezia avrebbe lanciato i viola a ridosso della zona Champions a due giornate dal termine. Incredibile. Quanti punti persi con le medio piccole, frutto di una mancanza di organizzazione e di mentalità che non sono state colmate in questi mesi. Anzi. Ma il paradosso si rinnova, come più volte sottolineato. La Fiorentina voleva alzare l’asticella, migliorare e puntare in alto. E allora perché scegliere un tecnico che con tutti i suoi limiti, sia chiaro, è però ancora acerbo, alla sua prima vera esperienza in una piazza che esige, con le tre competizioni da tenere vive. Era da mettere in conto che qualche errore l’avrebbe commesso. Ma questo stride fortemente con la rivendicazione del club e l’assoluta indicazione di evitare un campionato anonimo. Cortocircuito comunicativo e di intenti. Palladino adesso è il parafulmine delle critiche e nel calcio spesso funziona così. Ma sarebbe ingiusto addossargli tutte le responsabilità. Da Commisso a Pradè passando ovviamente per i giocatori, ognuno ha le sue sulle quali riflettere.

Italiano e un’estate da non ripetere

Domenica arriva il Bologna e potrebbe contare pochissimo, anche se ancora la matematica non condanna i viola fuori dall’Europa. Ci sarà Italiano, il grande ex. Non mi piacciono le fazioni, non le sopporto. Mi piacerebbe che si riconoscesse a Vincenzo quanto di buono fatto, al netto delle tre finali prima conquistate e poi perse con quella ad Atene contro l’Olympiakos che rimane un enorme rimpianto.

Mi piacerebbe invece riflettere sul fatto che dopo Italiano la Fiorentina aveva tutto per poter ripartire da una buona base con un lavoro acquisito e invece si è preferito voltare pagina per riavviare il film dall’inizio. Capitolo zero. La sindrome del Gattopardo, appunto. Sarà mai possibile provare ad avanzare, stagione dopo stagione, magari tenendo i giocatori migliori per aggiungerne di altri in un mix di talento e di esperienza con un allenatore che pensi a formare un gioco, un’anima, un’identità e attorno a tutto questo trascinare una piazza affamata di vere emozioni? Me lo chiedo perché non vorrei pensare all’ennesima estate in cui tutto viene di nuovo messo in discussione, stravolto e ritoccato per poi ritrovarsi, ad agosto, nella stessa situazione di un anno fa.

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