Allenatore divisivo già quando era a Firenze, saranno fischi o applausi? Non tutti lo hanno compreso. E quelle ruggini con Pradè…
Non è vero che il tempo cancella le cose. Il passato nel calcio sa come tornare a prenderti. Succederà anche a Vincenzo Italiano, oggi per la prima volta da ex a Firenze. Se ne andò con tre crepe nel cuore: le finali di Conference League (West Ham e Olympiacos) e Coppa Italia (contro l’Inter), perse per un’unghia. Torna da avversario e con un trofeo che sa di leggenda (il Bologna non vinceva la Coppa Italia da cinquantun anni), oltre alla possibilità di riportare i rossoblù in Champions League un’altra volta, sarebbe il secondo anno consecutivo, scrive La Gazzetta dello Sport.
FISCHI E APPLAUSI. In Viola non lo volevano più, ma evidentemente non tutti lo avevano capito. Cambiava formazioni al ritmo del jazz, nessuno gli teneva il tempo, e qualche volta le incomprensioni hanno offuscato il resto, persino il bel gioco e le grandi partite fatte. Una frangia del tifo ha detto che Italiano si merita i fischi, un’altra lo ricoprirebbe di applausi. Insomma, il totoaccoglienza del Franchi già impazza.
TRIENNIO. Fiorentina-Bologna non è affatto un post-Coppa Italia, per Italiano è la prima di due finali in Serie A. La stagione in casa rossoblù richiede un ultimo sforzo prima della grande festa in Piazza Maggiore e per le vie della city con le torri. Fiorentina prima, Genoa poi: vincerle vuol dire arrivare a quota 68, il numero che può far uscire i rossoblù sulla ruota della Champions League. Quello contro la Viola è ben più di un finale di stagione col thrilling. Italiano ritrova la città del suo personalissimo odi et amo, il luogo in cui ci si spacca sulle opinioni per dna e costituzione, e la lingua (anche quella del pallone) piace poco se non è raffinata. Nel suo percorso a Firenze, l’attuale tecnico rossoblù ha cercato fortuna e gloria. Lì è diventato grande. Ma quando il pallone ti condanna non c’è niente da fare. Ben 162 gare, tre finali in due anni. Il giorno dell’addio disse: «Tre anni bellissimi. Me ne vado diverso da come ero arrivato. Vado via perché quando si arriva a un certo livello e non riesci ad andare oltre, l’ambiente chiede uno sforzo maggiore. Ho dato il massimo. Ma è giusto voltare pagina e ripartire. Lascio spazio a nuove idee». E allora ha scelto Bologna, la panchina più rovente che ci fosse. Forse non solo in Italia. Un avvio di campionato così così, poi la cavalcata fino al tripudio dell’Olimpico contro il Milan in Coppa Italia. Ora può addirittura eguagliare Thiago Motta dello scorso anno. Fece 68 punti. Il Bologna ora è a 62.
DISCUSSIONI. A Firenze presero a chiamarlo talebano per quella cocciutaggine nelle scelte. A Bologna invece l’Italiano è solo quello che dà lezioni. Per tutti è un derby, per Italiano è quasi un duello interiore. All’andata, al Dall’Ara, corse verso gli spogliatoi, tutt’altro che confuso, sicuramente felice. Aveva abbracciato un dirigente, buttato un cappellino in aria. Pradé non gliela passò: «Visto quello che è accaduto a Palladino (era in lutto ndr), l’esultanza di Italiano non mi è piaciuta. L’ho trovata una grandissima mancanza di rispetto. Ho capito tante cose dell’uomo questo pomeriggio. Non ho avuto modo di incontrarlo e nemmeno voglio incontrarlo». Italiano replicò: «Il mio ex direttore esagera, esulto sempre così». L’elettricità si sente e tutti sono curiosi di vedere che accoglienza riceverà. Dopo la vittoria della Coppa Italia il tecnico è stato il primo a ricordarsi del suo passato viola, di gioie, ambizioni, delusioni: «Voglio fare una dedica speciale. Mi ha scritto il figlio di Joe Barone. Questa vittoria la dedico alla loro famiglia, perché anche con loro ci sono andato vicino». È la prova che il tempo lascia il segno, c’è poco da fare.
Di
Redazione LaViola.it