L’allenatore ha messo al primo posto le individualità e ha ottenuto la quarta qualificazione in Conference consecutiva
I conti si fanno a maggio e la Fiorentina di Raffaele Palladino si è posizionata al sesto posto con 65 punti, che significa miglior risultato degli ultimi 11 anni per il club viola. Ma nonostante ciò l’allenatore continua a dividere Firenze, e nelle ultime partite è stato anche contestato dalla curva. La classifica finale recita però che squadre più attrezzate come Milan, Bologna e Lazio sono arrivate dietro, ma il piazzamento ha un sapore agrodolce, beffardo, visto che negli ultimi anni con quei punti la Roma è arrivata in Europa League, mentre quest’anno vale la Conference a causa della vittoria della Coppa Italia del Bologna, ma anche del negativo rendimento delle italiane in Europa che ha inciso sul ranking Uefa.
LA MANO DI RAF. Il bicchiere è mezzo pieno per Palladino, nonostante debba crescere sull’approccio alla partita visti alcuni primi tempi deludenti con squadre inferiori, nel trovare contromisure a squadre che difendono con i blocchi bassi e magari più coraggioso in alcune situazioni nelle letture delle partite, oltre alla gestione di pressioni di una piazza esigente. Ma qualche merito ce l’ha il 41enne campano, che si è ritrovato una squadra allestita negli ultimi giorni del campionato estivo e poi rivoluzionata di nuovo a gennaio. Si è dimostrato stratega e flessibile di idee per cambiare modulo (cinque sistemi diversi utilizzati in stagione), ha dato un’organizzazione difensiva e la capacità di soffrire bassa, con l’area di rigore di De Gea definita più volte come una comfort zone. Non si è mai nascosto davanti ai microfoni con toni sempre pacati e non ha scaricato la colpa sui giocatori, tranne dopo l’eliminazione ai supplementari col Betis dove chi è entrato dalla panchina, e non solo, ha deluso. L’aspetto più importante e magari sottovalutato però è l’aver creato valore dai singoli, mettendoli al primo posto con un gioco poco spettacolare ma funzionale e redditizio.
CREARE VALORE. Spesso Palladino ha utilizzato la parola amore in questa stagione. Oltre alla tattica e a scelte coraggiose, l’allenatore viola è stato chiamato a un lavoro sulla testa dei vari giocatori. La fiducia riposta su Comuzzo sin dalla prima giornata con il gol di tacco del classe 2005 nella sua terra ha chiuso un cerchio, i 26 gol di Kean con un gioco verticale che esalta le sue caratteristiche dopo una stagione da 0 reti, l’aver recuperato Pongracic dopo una prima parte di stagione da oggetto misterioso, stesso discorso vale per Richardson, la miglior versione di Mandragora e di Dodo, con il brasiliano finalmente libero di arrivare sul fondo e crossare invece di andare verso il centro del campo a intasare gli spazi, senza dimenticare i vari Adli, Bove, Cataldi e Gosens reduci da stagioni complicate. Capitan Ranieri ha acquisito carisma e leadership, ma anche chi c’era già come Parisi e Beltran si sono resi utili nel corso della stagione, così come Sottil fino a gennaio.
DELUSIONI. Non ci è riuscito con Colpani e Gudmundsson, entrambi arrivati da realtà più piccole, né tanto meno con Zaniolo. E a bocce ferme, la sensazione è che i primi due hanno pagato il salto nella piazza di Firenze, in una stagione caratterizzata da infortuni e situazioni extracampo. Palladino non ha ingabbiato Gud in un ruolo specifico, anzi gli ha dato libertà nell’andarsi a trovare una posizione senza particolari compiti difensivi, ma nelle partite decisive l’islandese ha deluso (soprattutto contro il Betis al Franchi). E adesso il suo futuro è un punto interrogativo.
BASE DA CUI RIPARTIRE. “Prima dei calciatori vengono gli uomini, all’interno di questo gruppo ci sono grandi uomini e bisogna partire dall’ossatura che c’è già di 10-12 uomini veri. Parlerò con la società e cercheremo di creare una Fiorentina ancora più forte di quest’anno”, queste le parole di Palladino nel post-partita contro l’Udinese. La base costruita in questa stagione è valida, ma la squadra ha palesato alcune falle. Troppe volte l’allenatore è stato costretto ad adattare un giocatore o a cambiare modulo. Così diventa difficile anche dare un’identità giocando ogni 3 giorni. Sono mancate le alternative nei ruoli chiave, come il centravanti e il quinto di destra (unico giocatore in grado di creare superiorità numerica), ma anche caratteristiche. Il centrocampo è stato costruito con soli giocatori monopasso, e anche in attacco e sulla trequarti sono mancati giocatori in grado di saltare l’uomo e di dare una scossa a partita in corso. Questi possono essere alcuni degli input per il mercato estivo su cui Pradè e Goretti dovranno lavorare. Magari con tempistiche diverse a quelle della scorsa estate, dove però era diventato difficile ‘fare cassa’ (Milenkovic svenduto per 15 milioni e Nico Gonzalez venduto ad agosto inoltrato) mentre quest’anno grazie anche al lavoro di Raf sarà più facile ricevere offerte e reinvestire. Atalanta e Bologna insegnano: per crescere servirà sacrificare qualcuno e investire bene per avere una rosa più omogenea e con una coperta più lunga.
Di
Andrea Tanini