Tra la delusione per l’uscita dalla Conference e i dubbi su Palladino, torna virale un vecchio comunicato degli ultras che rilancia interrogativi mai sopiti
C’è un comunicato della Curva Fiesole che gira sui social e nelle chat dei tifosi che si sono risvegliati prendendo atto dell’amara sentenza: fuori dalla Conference, a un passo dalla finale, dopo una gara piena di avvenimenti ma che già dal secondo tempo ha virato in direzione Betis (che ha ampiamente meritato di passare e che se la giocherà col Chelsea). Nella foto che rimbalza in queste ore appare la nota degli ultras dal titolo “I conti si fanno alla fine, la fine è arrivata“. Dentro parole nette come “È arrivato il momento delle risposte e pretendiamo che la presidenza chiarisca velocemente quali siano i reali obiettivi della società Fiorentina, perché Firenze non festeggia per degli ottavi posti e soprattutto non gioisce per la coppa del fair play finanziario“. Poi la chiosa finale: “Presidente Commisso, il primo che ci deve dare delle risposte è lei, siamo arrivati a un bivio: non esistono più vie di mezzo. È il momento di investire seriamente affidandosi a dirigenti competenti per dar vita a un progetto sportivo serio e all’altezza di questa città. Firenze merita di più“. Sono in tanti a riprenderlo, a farlo proprio, a rilanciare questo appello. Peccato però che non sia di oggi ma della scorsa estate. O meglio, dello scorso finale di stagione. Dopo la sconfitta in finale ad Atene, la scelta di non proseguire con Vincenzo Italiano. In quei giorni di riflessioni, la Curva chiarì qual era la sua posizione e la società, presentato Raffaele Palladino, ribadirà più volte come l’obiettivo del club fosse quello di essere “ambiziosi” e di alzare l’asticella per “fare meglio dell’anno passato“.
Il rischio di ritrovarsi fuori da tutto
Eppure c’è qualcosa che non quadra, quasi un anno dopo rispetto a quel comunicato. La Fiorentina ha scelto di ripartire da un allenatore giovane, sia come età che come inizio di carriera. Gli errori andavano messi in conto e sono arrivati puntuali come logico e naturale che sia per chi, come Palladino, si è misurato per la prima volta con una realtà certo più ambiziosa, pressante e totalizzante rispetto al Monza. Il campionato, con l’indicazione di migliorare quello scorso e quindi puntare almeno alle prime sei posizioni di classifica, e poi Conference e Coppa Italia dove però i viola sono stati eliminati rispettivamente in semifinale e agli ottavi contro Betis ed Empoli. Certo, in campionato tutto può ancora accadere: tre gare, nove punti in palio, il gruppone lì vicino. Ma nel computo delle probabilità anche quella di rimanere fuori da tutto. Non certo l’ideale per un club che nei pressi del giro di boa di questa stagione sognava in grande e che poi, lentamente, è scivolato ai margini dell’Europa.
Palladino e i suoi errori ma non può essere il parafulmine
La squadra è stata costruita stravolgendo il gruppo che fu. Sia nei singoli che nell’idea di calcio. Difesa a tre, poi quattro, poi nuovamente a tre. I senatori messi alla porta, alcuni colpi di tutto rispetto (Moise Kean, De Gea e Gosens, come operazioni di mercato, meritano soltanto applausi). Ma anche alcune incognite (Richardson), altre stecche (su tutti, Colpani), altri azzardi (Zaniolo) e altri ancora rendimenti altalenanti (Adli e Gud ne sono l’esempio). Un mercato che nei piani della società, per valore dei singoli, poteva essere quasi da Champions e che si scontra, invece, con una realtà ben differente. Manca un’identità di gioco ben precisa, quell’armonia che detti l’intensità tipica di una squadra che anche nel momento di difficoltà sa sempre dove andare, a cosa affidarsi, come ripartire. Il singolo sopra il collettivo può funzionare in alcune gare, a volte anche nel breve periodo. Ma poi il fattore continuità, che regola ogni risultato profondo, verrà sempre a chiederne il conto. Palladino però, dal canto suo, non è quell’allenatore esperto e navigato con una carriera lunga e consolidata alle spalle. E per questo, mia opinione opinabile, non merita di diventare il parafulmine delle critiche più o meno aspre che seguono l’eliminazione dalla Conference. Il tecnico aveva e avrà bisogno del suo tempo per affermarsi e semmai è nei confronti della società che si dovrebbe porre una riflessione. Perché si è scelto di costruire una rosa di qualità, volendo alzare l’asticella delle ambizioni, affidandosi a un tecnico relativamente inesperto e al primo vero passo in un ambiente così esigente?
Commisso e la scelta dell’estensione del contratto
Una domanda che mi sono seriamente posto in questi mesi. Sia quando la Fiorentina otteneva risultati e si ritrovava ai vertici, sia quando ha vissuto momenti negativi e rimbalzavano voci su un possibile esonero (smentite in prima persona da Commisso) e di qualche frizione all’interno della società resa più solida dalle ripetute dichiarazioni del direttore sportivo Pradè in più di un’occasione. Poi l’estensione del contratto fino al 2027, opzione che la Fiorentina poteva esercitare in qualsiasi momento, resa ufficiale alla vigilia della sfida più importante dell’anno. Come dire: può accadere qualsiasi cosa, tu rimarrai con noi. Un prolungamento che ha sorpreso un po’ tutti, compreso lo stesso Palladino che probabilmente si sarebbe atteso un confronto a fine stagione a risultati acquisiti. Sono rimasto sorpreso anche io. Il club legittimamente ha scelto di proseguire con Raffaele: evidentemente il percorso ha convinto più dei risultati. Oppure è stata una mossa per frenare qualsiasi voce futura, preventiva in caso di eliminazione dalla Conference. Una scelta arrivata direttamente da Commisso, che ammira e stima Palladino e che ha sempre ribadito il suo affetto al tecnico. Una scelta, però, che non mi trova d’accordo non nel metodo (legittimo e per certi versi anche ammirevole) ma nel merito. Le premesse erano altre e le ho sottolineate all’inizio di questo pezzo: il rischio è di far passare in secondo piano i risultati, a discapito di quanto ribadito dalla stessa dirigenza a seguito di quel comunicato netto da parte della Curva Fiesole. Così facendo, nella mia lettura, è come se il presidente avesse voluto ridimensionare la portata del margine d’errore di Palladino e forse, più o meno implicitamente, riconoscere che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi anche altre componenti si sarebbero dovute assumere la loro responsabilità. A cascata, dal numero uno in giù.
Il finale di stagione, le nuove incognite
C’è un finale di stagione ed è giusto viverlo provando a dare il massimo. Gosens, vero leader di questo gruppo, ha già indicato la via. Trasformare la rabbia di quei cori di gioia da parte dei giocatori del Betis, sentiti nello spogliatoio viola a fine gara, in carica positiva per vincere le ultime tre gare di campionato e provare a centrare un piazzamento europeo. Qualsiasi esso sia. Venezia, Bologna, Udinese. Questo il prossimo giro d’orizzonte prima di lasciare agli uffici le riflessioni extra campo. Sarà una lunga estate, di nuovo. La speranza era quella di partire da una posizione di vantaggio dopo i tre anni con Italiano. Qualche metro più avanti, proseguendo il percorso. Invece tutto ripartito da zero (o quasi), con una nuova rosa, nuove idee, nuova filosofia e il rischio di stravolgere di nuovo tutto tra riscatti da valutare, pezzi pregiati che in assenza d’Europa potrebbero pensare ad altre destinazioni e alcune incognite da risolvere.
Di
Matteo Dovellini