La Fiorentina fa il suo dovere, accede alla semifinale di Conference League eliminando un modesto Celje
Tutto è bene quel che finisce bene. La Fiorentina fa il suo dovere, accede alla semifinale di Conference League eliminando un modesto Celje, fornendo due modeste prestazioni nel computo dei 180′, ringraziando San De Gea e benedicendo il colpo da biliardo di Kean che ha rimesso la qualificazione dalla parte dei viola in un momento in cui al Franchi si stava consumando un pazzesco harakiri.
Nulla di nuovo, insomma. Il portiere spagnolo che fa miracoli, non troppi (rispetto ad altre partite) tra andata e ritorno ma comunque decisivi, il 20 davanti che trasforma in oro un pallone lanciato su con la speranza che contraddistingue il gioco di questa Fiorentina da inizio stagione, cioè palla lunga a Moise e speriamo bene. Così come fu col Puskas a inizio stagione e com’è stato quasi sempre anche in Serie A, eccezion fatta per le sfide contro chi lascia spazi. Ormai è questo il gioco della Fiorentina e non cambierà fino all’ultimo minuto dell’ultima gara di questa annata.
Se si guarda al mero risultato c’è di che essere soddisfatti, come hanno fatto Commisso, Palladino e i vari protagonisti viola. Ci sarebbe invece di che discutere su come la squadra giochi, il livello degli avversari e come i viola siano arrivati sin qui. Ma perché farlo? In fondo la Fiorentina è ancora in corsa per l’Europa League via campionato, con un miracolo anche per la Champions, e potrebbe alzare al cielo la Conference League dopo due finali perse di fila.
Ora ci saranno Betis ed eventualmente il Chelsea sulla strada verso la gloria europea dei viola. Due squadre che col Celje hanno poco a che fare (anche se gli spagnoli, proprio con gli sloveni, hanno vinto allo scadere nel girone, mentre gli inglesi hanno perso in casa col Legia, pur avendo vinto 0-3 in Polonia all’andata), ma il paradosso sta proprio in questo: sarà quasi più facile fare prestazione con avversari di questo livello che con una squadra modesta come gli sloveni. In parte ha ragione Riera, tecnico del Celje, quando dice che se la Fiorentina ha sofferto contro un avversario da 13 milioni come lo è la squadra slovena, difficilmente potrà avere la meglio degli spagnoli che di milioni ne valgono 173 (comunque 100 meno dei viola) e degli inglesi che valgono 922 milioni, ma il fil rouge di questa stagione è più o meno sempre lo stesso: la Fiorentina fa partite orribili contro squadre come il Parma, Monza, Verona e via discorrendo, ma asfalta le big, o comunque chi gioca da grande squadra.
Lunedì a Cagliari, dunque, sarà più difficile che col Betis, nonostante questa sia stata definita più volte la “Fiorentina più forte dell’era Commisso”, anche dal patron viola stesso, ma idee, schemi e gioco latitano dalla prima sfida ufficiale di questa stagione, a Parma. Anche nel periodo delle 8 vittorie di fila, a parte un paio di prestazioni maiuscole come a Lecce o con la Roma, Palladino aveva puntato su compattezza, parate di De Gea e palla lunga a Kean, ed hanno pagato, soprattutto contro le squadre più forti della Serie A, cioè quelle che lasciano spazi per quel tipo di gioco lì. Il paradosso, dicevamo, è che la Fiorentina potrebbe anche goderne del livello degli avversari che salirà con Betis e Chelsea. E va bene così, finché dura.
Se questo allenatore, con questa idea di gioco, con questa squadra che ha a disposizione dovesse vincere la Conference League e/o centrare almeno l’Europa League (via Serie A), entrerebbe nella storia della Fiorentina. Di tutto il resto ci sarà tempo per parlarne, sempre se si voglia farlo. In fondo Riera ha detto la verità, anche se sentirselo dire non ha fatto piacere (e comunque ha perso, mentre Palladino è andato avanti). Chi vince festeggia, chi perde spiega, funziona così. Sperando, ovviamente, che Palladino vinca.

Di
Gianluca Bigiotti