Ancora errori di valutazione costati cari alla Fiorentina. L’auspicato salto di qualità non c’è stato neanche stavolta
“Nessuno ha mai fatto due finali di Conference”. In queste parole pronunciate da Rocco Commisso prima del fischio d’inizio della gara di Atene c’è molto di cui e su cui riflettere. Sia in chi le ha sentite, che in chi le ha pronunciate. Quanto ha detto il patron viola è fattuale, ma va contestualizzato.
CONFERENCE. La Conference, manifestazione a cui la Fiorentina parteciperà anche l’anno prossimo per la terza volta di fila, è la terza coppa europea, che l’anno prossimo vedrà partecipare la formazione che in Serie A è arrivata ottava, com’era accaduto l’anno scorso (questo punto lo riprenderemo più avanti). Tralasciando il discorso legato alla storia di un club come la Fiorentina, che cozza con le logiche del calcio di oggi in cui nuove realtà sono ormai da anni stabilmente davanti a livello di gerarchie (Atalanta su tutte), l’appeal che tale competizione può avere su un pubblico che vive di calcio, ha una certa competenza e di conseguenza anche delle pretese, fa specie pensare che in due anni in cui i viola hanno raggiunto due finali non hanno mai trovato formazioni spagnole o tedesche e solamente un’inglese (il West Ham). Vorrà dire qualcosa? Forse tutto e niente, ma così com’è fattuale che la Fiorentina è l’unica che ha disputato due finali di Conference, è altrettanto vero che club di un certo rango la Conference la snobbano, sia mentre la giocano che mentre provano a raggiungerla via campionati nazionali. Sarà un caso se l’Atalanta, nel primo anno in cui la Fiorentina di Italiano ha raggiunto il settimo posto non ha fatto i salti mortali per raggiungere la Conference? O se il Napoli quest’anno ha fatto un finale di stagione disastroso non riuscendo mai a vincere? O se la Lazio due anni fa preferì uscire dalla Conference per puntare tutto sulla conquista di un posto in Champions? Forse sì, forse no.
ASTICELLA. L’altro punto è il seguente: giocare la Conference come fa la Fiorentina, cioè onorandola al massimo per provare a vincerla, comporta il sacrificio di energie in campionato. Il loop che si è generato è stato evidente l’anno scorso e si è ripetuto quest’anno. Il problema è stato l’epilogo, visto che nessuna delle due finali è stata vinta, con due annate da 60 partite a stagione per una quarantina di milioni di introiti totali, gli stessi che farà registrare il Bologna dal solo aver ottenuto l’accesso in Champions. Quindi, se anche l’anno prossimo la Fiorentina dovesse fare la Conference dando il massimo in Europa, andrà a ri-pagare in campionato. E così via. Il tutto per introiti modesti e partite con avversari che non scaldano etc etc. Ogni stagione che inizia, inoltre, dovrebbe avere l’ambizione di far meglio di quella precedente. Il problema, invece, è che la Fiorentina continua a permanere nello stesso limbo, quello in cui manca sempre l’uno per fare trentuno.
RIFLESSIONI. Dovrebbe riflettere su questo anche chi ha pronunciato quelle parole, dicevamo. Non ce ne voglia Commisso, ma le premesse e le aspettative erano altre al suo arrivo. La storia della Fiorentina era altra. L’ambizione di un club come la Fiorentina dovrebbero essere altre che giocare la coppa degli ottavi di Serie A, contro formazioni che con quella viola non hanno niente a che vedere, né per storia, né per valori né per nulla. I discorsi sarebbero stati diversi se la Fiorentina avesse vinto ad Atene? Sì, certo che sì. Nello sport funziona così. Si vince e si perde. Ma si deve (o meglio si dovrebbe) anche analizzare come arrivano vittorie e sconfitte. E ok il Viola Park, gli investimenti fatti (comunque trattasi di investimenti, quindi ampiamente, o almeno in larga parte, recuperabili il giorno in cui la società sarà ceduta) l’impegno e la dedizione, aver fatto due finali europee e una di Coppa Italia, oltre ad altre due semifinali della stessa coppa nazionale ma…dagli errori si dovrebbe imparare. Sempre che si percepisca di aver sbagliato.
ERRORI. Facile parlare col senno del poi, ma i problemi che ha avuto la Fiorentina ad Atene e in tutta la seconda parte di stagione erano gli stessi che aveva evidenziato già prima del mercato invernale. Nzola non è crollato, è lo stesso che già nella prima parte di stagione aveva fatto male. E infatti è stato preso Belotti in prestito, si dirà. Sì, ma non è che da gennaio in poi il Gallo ha perso la vena realizzativa (2 gol segnati). E’ ormai da qualche anno che Belotti non riesce più a trovare il gol con la facilità con cui lo faceva a Torino. Ci si poteva attendere che Bonaventura, 35 anni, avesse un calo di rendimento rispetto alla prima (straordinaria) parte di stagione. Si poteva prevedere che ridurre il parco dei difensori centrali da 4 a 3 (anche se Mina non era sembrato adatto alla causa viola) poteva portare ad un’usura fisica e mentale dei tre centrali stessi (Ranieri è arrivato a fine stagione stremato a livello mentale), che serviva un esterno pronto e forte, visto che Nico era ai box per infortunio e poteva aver bisogno di tempo per tornare ai livelli della prima parte di stagione, che Beltran non riusciva ad esprimersi come centravanti, che Kouame era in Coppa d’Africa (con poi l’aggiunta di aver contratto la malaria; e comunque trattasi pur sempre di Kouame, non certo Kvaratskhelia) e che Ikoné è Ikoné. Si era già intuito che Maxime Lopez non era Arthur, e che il brasiliano non poteva garantire continuità. Il nodo del centravanti, poi, si trascina dalla cessione di Vlahovic. E se fin qui qualcuno potrebbe obiettare che non si può avere la sfera di cristallo, che prevedere tutto ciò che poi è accaduto sarebbe stato come anticipare i sei numeri del Superenalotto etc etc, il fatto che la Serie A avrebbe potuto mandare cinque squadre in Champions League era cosa che già si sapeva. La Fiorentina, a inizio gennaio, era quarta. Ma da lì in avanti è crollata in campionato, giocando tutto gennaio coi soli Ikoné e Brekalo come esterni offensivi, affidando l’attacco al solo Nzola (da lì in avanti ancor più disastroso), pur arrivando in un’altra finale europea e in semifinale di Coppa Italia. E adesso la forbice con Bologna e Atalanta si amplierà ulteriormente visto che rossoblu e bergamaschi potranno contare sugli introiti della Champions, mentre la Fiorentina, che fa dell’equilibrio dei conti un proprio mantra, rifarà la Conference (dopo aver perso la finale). Evidentemente, a gennaio qualcuno ha sopravvalutato le forze a disposizione, toppando clamorosamente.
IMPARARE. Come sottolineato in precedenza, è sempre facile dire le cose col senno di poi. Ma se un club non riesce mai a prevedere scenari che potevano essere almeno intuiti, finendo sempre per pagare a caro prezzo errori di valutazione, migliorarsi sarà quasi impossibile. La Fiorentina riparte da qui, deve farlo da qui. Perdere una finale ci sta, accade. Ma perderla sapendo di avere dei punti deboli che sono stati ignorati, non percepiti o sottovalutati, risponde perfettamente a quel detto che recita ‘errare è umano, ma perseverare è diabolico’.

Di
Gianluca Bigiotti