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Editoriali

La carica di Firenze: riscriviamo la storia, 22 anni dopo. Italiano ha ragione: non è il momento di pensare al futuro

In migliaia hanno caricato la squadra, con cori e fuochi d’artificio. Primo appuntamento per riscrivere la storia

“Torneremo, torneremo… torneremo grandi ancor…”. Risuona forte la carica dei tifosi. Dagli spogliatoi di Basilea alla Maratona del Franchi, dove in migliaia si sono radunati per spingere la Fiorentina prima della finale di Coppa Italia. Un coro che è diventato un filo d’unione fortissimo tra gruppo e tifosi, con un unico intento: riscrivere la storia della Fiorentina. Era il 3 maggio 2014 quando la Viola giocava l’ultima finale, proprio di Coppa Italia, perdendo contro il Napoli (e ci ricordiamo come…), mentre era il 13 giugno 2001 quando la Fiorentina alzò al cielo il suo ultimo trofeo. Già, sempre Coppa Italia, la 6° della sua storia su 10 finali disputate.

22 ANNI DOPO. Si giocava ancora la finale tra andata al ritorno, dopo lo 0-1 del Tardini la Fiorentina pareggiò 1-1 al Franchi contro il Parma e da lì partì la festa. Le immagini di Rui Costa che da capitano alza quella coppa sono ancora negli occhi di tutti i tifosi che vissero quella serata, era la Fiorentina di Toldo, Repka, Nuno Gomes, ma anche Adani, Pierini, Amaral, Vanoli, Di Livio, Enrico Chiesa e tutti gli altri. Con Mancini in panchina, al culmine di una stagione da montagne russe, dopo l’addio estivo di Batistuta, la breve epopea Terim e la separazione con Antognoni. Una Viola a fine ciclo Cecchi Gori, che l’anno dopo retrocesse e fallì. Ma una Fiorentina rimasta nella storia per quella Coppa Italia. Non aver alzato al cielo un trofeo, del resto, è stato il vero grande cruccio del lungo ciclo Della Valle. Squadre anche importanti, con Prandelli e Montella, tanti giocatori di livello, da Toni a Gilardino, da Mutu a Frey, da Rossi a Gomez, da Joaquin a Salah, passando per Astori, Gonzalo, Alonso, Jovetic, Ujfalusi, Borja Valero, Pizarro, Aquilani, Cuadrado. Ma senza un titolo in bacheca, la storia di quei 17 anni è stata ‘monca’. Ora Commisso ha la doppia opportunità di giocarsi un trofeo, al suo 4° anno di presidenza: occasione unica.

SCRIVERE LA STORIA. La prima a Roma, mercoledì. Nove anni dopo quel 3 maggio 2014, quando Fiorentina-Napoli fu pesantemente condizionata dalla partenza in ritardo del match e da quanto accadeva sugli spalti e fuori dal campo. Chi c’era ricorda e non dimentica. Una partita-non partita. Forse anche per questo tornare all’Olimpico nove anni più tardi ha un sapore ancor più speciale per i tifosi viola, che si stanno preparando a spingere la Fiorentina in massa. Ci sarà tempo di pensare anche a Praga, al West Ham, all’altro sogno di Conference. Prima la Coppa Italia, una partita in cui si parte sfavoriti da pronostico ma non per questo già battuti. Anzi. Stanchi, stanchissimi e logorati i ragazzi di Italiano, da una stagione che vedrà i viola aver affrontato, alla fine, ben 60 partite. Tutte eccezionalmente concentrate in tempi ridotti vista l’anomala sosta Mondiale. Ma quando c’è stato da fare sul serio, da fare una corsa in più per il compagno, lottare fino alla fine, questo gruppo non ha mai mollato. E senza dubbio lo farà anche all’Olimpico, perché l’occasione è forse irripetibile e tutti, dal primo all’ultimo, sentono la responsabilità e la possibilità di poter scrivere una pagina indelebile per questa società. Per questa città. Del resto, il legame che si è creato in queste settimane, in questi mesi, è fortissimo. La squadra ha voglia di festeggiare insieme ai suoi tifosi, di regalare qualcosa di magico.

SPINGERE OLTRE L’OSTACOLO. Chiaro che non sarà facile, perché l’Inter è anche finalista di Champions, è in forma, e ha una rosa sulla carta di gran lunga superiore. Ha ritrovato Lukaku, così come i gol di Lautaro. Ma anche Brozovic in mezzo insieme a Barella, e poi Calhanoglu, la solidità difensiva. Insomma, sarà dura. Durissima. Ma la gara di San Siro del 1° aprile insegna: l’Inter si può battere. Erano un’altra Fiorentina e un’altra Inter, sì. Ma ci si può giocare. C’è un Bonaventura che ha colpito i nerazzurri proprio un paio di mesi fa, Gonzalez che ha ancora negli occhi la doppietta di Basilea, l’ex Biraghi chiamato a trascinare i suoi, Dodo dall’altra parte, un Castrovilli in crescita, Jovic che si è sbloccato. Ci sono dei punti interrogativi, sulle condizioni di Cabral e Amrabat ad esempio. Ma senz’altro stringeranno i denti per mercoledì. È una partita, insieme a quella del 7 giugno, che può segnare e unire generazioni di tifosi. Tra chi aspetta da 22 anni di poter festeggiare qualcosa di concreto, e chi invece non c’era ancora o era troppo piccolo per vivere quelle emozioni, e ha potuto solo sentirne i racconti. Maxi schermi in città, circa 25mila cuori viola a Roma. Tutti uniti a spingere la Fiorentina con la voce e con il cuore.

C’E’ TEMPO PER IL FUTURO. In mezzo a questo entusiasmo, a questa carica, avanzano le voci sul futuro di Italiano. Tutto si muove da Napoli, dove il divorzio con Spalletti è ormai scritto. De Laurentiis non ha mai nascosto la stima per Italiano, ci aveva pensato a lungo anche prima di andare dal tecnico di Certaldo. Ci sta che certe voci, certe ipotesi possano venire fuori. Ma ora non è il tempo di pensarci. Ha ragione Italiano: troppo importante questo finale di stagione, troppo importante rimanere concentrati tutti al 100% sulla doppia finale, per regalarsi e regalare a Firenze un doppio sogno. Poi, solo dopo, sarà tempo di bilanci, sassolini da volersi togliere (l’ha lasciato intendere anche la società), capire cosa voler fare per il futuro, da entrambe le parti. Chiaro che movimenti in estate sulle panchine dell’alta Serie A ci potrebbero essere, dal Napoli alla Roma, passando per l’Atalanta e forse per Juve e Milan. Ed è altrettanto vero che Italiano, per il suo tipo di calcio, i suoi principi e la sua scalata dalla D alla doppia finale in 5 anni, piace a tanti. Ma la Fiorentina ha ribadito più volte che esiste un contratto, un lavoro programmato insieme, per un allenatore sempre difeso anche quando veniva criticato. Poi che la società stimi particolarmente Aquilani, specie nell’ottica di valorizzazione dei giovani con il Viola Park, è altrettanto vero. Ma ogni discorso ora è davvero prematuro. E ingeneroso, in chiave viola, rispetto a quanto c’è ancora da fare. Nel calcio, così come nella vita, è giusto anche godersi il presente, con la necessità di dare il massimo per due obiettivi che possono portare questo gruppo nella storia. Poi sì, ci sarà tempo di pensare al futuro. Ma ora solo testa a Roma.

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