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I 50 anni di Rui Costa, tra i grandi 10 viola. Quella Coppa e un ricordo indelebile

Ieri il portoghese ha compiuto mezzo secolo di vita, è stato tra i più grandi della storia della Fiorentina. Ha fatto innamorare i tifosi

Rui Costa ieri ha fatto cinquant’anni, ne ha passati dodici in Italia, i migliori anni della sua vita da giocatore. Sette nella Fiorentina, cinque nel Milan, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana in viola, uno scudetto, una Coppa Italia, una Champions e una Supercoppa Europea in rossonero. Prima dell’Italia è stato il giovane fenomeno del Benfica, dopo l’Italia è tornato nel suo club per chiudere la carriera in campo e diventarne prima direttore sportivo e poi, fino ad oggi, presidente. Così scrive Il Corriere dello Sport – Stadio.

NUMERO DIECI. Rui Costa è stato il 10 di Firenze e il 10 del Milan. E’ arrivato nell’estate del ‘94, aveva 22 anni e nella Fiorentina trovò Ranieri in panchina. Claudio lo sostituiva spesso perché Rui aveva un problema al ginocchio (poi risolto) e perché si innamorava della palla, un amore follemente corrisposto. Con lui la partita diventava una visione. Il 10 viola pesa perché l’hanno indossato Montuori, De Sisti, Antognoni e Roberto Baggio, ma sulle spalle di Rui Costa sembrava una piuma. Se Batistuta è diventato il miglior cannoniere della storia della Fiorentina il merito è stato anche di Rui Costa, sapeva sempre come, dove e quando trovarlo, gli bastava un’occhiata che anticipava la pennellata. 

ADDIO. Rui non voleva andarsene. Quando Batistuta decise di lasciare l’Arno per le sponde del Tevere, Rui scelse di restare e vinse ancora una Coppa Italia. Sarebbe rimasto a vita, ma la Fiorentina di Cecchi Gori stava fallendo e la sua cessione era inevitabile. Per la sua carriera fu un salto notevole, però non era allegro come a Firenze. All’inizio ritrovò Terim, per il quale stravedeva ai tempi del Franchi, poi con Ancelotti divenne il 10 di una squadra con tutti numeri 10, Seedorf, Pirlo, Kakà, infine Rivaldo. Ieri erano 50 anni, averlo ammirato in Italia è uno dei motivi per cui uno ama il gioco del calcio. Rui è stato il gioco del calcio. 

RICORDO. Il ricordo passa anche dal Corriere Fiorentino. Per i fiorentini resterà sempre quel ragazzo che a 22 anni scelse la maglia viola tra le tante a strisce che lo cercavano, fidandosi unicamente del proprio istinto, che infatti non lo ha mai tradito. Sbarcò in Italia la sera in cui Baggio segnava una fantastica doppietta alla Bulgaria nella semifinale dei Mondiali e fu quasi un’investitura, perché dopo l’immenso Antognoni e il Divin Codino nel cuore del tifo c’è lui. Vide quella partita nella villa di Vittorio Cecchi Gori, diventando la vera star della serata. Era poco più che un ragazzo, eppure già completamente a proprio agio in quel salotto pieno di gente del cinema e del generone romano. Dopo tre mesi parlava un ottimo italiano e da diverse settimane dialogava splendidamente sul campo con Batistuta e Baiano, a cui non pareva vero di avere uno così dietro ad ispirare.

INDELEBILI. Nella testa di chi gli ha voluto bene nei suoi sette anni fiorentini, cioè tutti o quasi, rimarranno indelebili le immagini del trionfo in Coppa Italia 2001 e l’addio due mesi dopo, in un Franchi trasformato in un teatro greco a cielo aperto. Piangeva l’ormai ventinovenne Manuel, piangevano i quindicimila arrivati là solo per salutare lui e la fine di un’epoca sopravvissuta per una stagione all’addio del più grande di tutti. A Milano ha vinto molto, a Firenze meno, ma è diventato uomo, e questo alla fine conta molto di più.

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