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Le difficoltà del momento viola al di là di Vlahovic. Il tempo da dare ai nuovi e la corsa all’Europa: è un obiettivo o un sogno?

Sei punti nelle ultime sei partite, prestazioni così e così anche prima della Lazio. Da Ikoné a Cabral, non è semplice entrare subito negli schemi di Italiano

“Ora bisogna ripartire come abbiamo sempre fatto”. Lo hanno detto tutti da casa viola, da Vincenzo Italiano ai giocatori interpellati, fino al ds Pradè. La Fiorentina dovrà rialzarsi anche dopo la Lazio, così come ha praticamente sempre fatto in stagione dopo i passaggi a vuoto più eclatanti. Dopo la battuta d’arresto di Venezia arrivò il bel 3-0 del Franchi contro il Cagliari, dopo il ko d’andata con la Lazio il 3-0 casalingo con lo Spezia, dopo il cocente 2-1 di Empoli un bel filotto con tre vittorie contro Samp, Bologna e Salernitana, dopo l’umiliante 0-4 di Torino arrivarono il 5-2 di Napoli in Coppa e il netto 6-0 con il Genoa. Insomma, a livello mentale raramente questa squadra ha tradito due volte di fila in stagione. Del resto, solo una volta la Fiorentina ha perso due gare consecutivamente (a cavallo della sosta di ottobre).

RIPARTIRE (ANCORA). Ecco perché anche Italiano ne è convinto: la sua Fiorentina ha le capacità, innanzitutto mentali, per superare il passaggio a vuoto contro la Lazio. Al di là delle polemiche e delle vicende di mercato. Niente catastrofismi, insomma, ma lavoro serrato sul campo per capire come correggere gli errori fatti (che pure si ripetono). Dietro alle difficoltà, infatti, c’è una struttura che ha portato una squadra che veniva da tre anni complicati a giocarsi un posto per l’Europa. Insomma, non può certo svanire tutto per una sconfitta. O per gli stravolgimenti in attacco dovuti al mercato. Anche se qualche considerazione è doverosamente da fare. Perché in realtà la flessione della Fiorentina non nasce improvvisamente contro la squadra di Sarri. Lo dicono i soli 6 punti fatti nelle ultime 6 giornate di campionato, con una sola diretta concorrente affrontata (la Lazio appunto). Lo dicono gli errori e le disattenzioni che puntualmente si ripetono, ma anche le prestazioni in molte delle ultime sfide: contro i biancocelesti, contro il Torino, l’approccio con il Sassuolo, gran parte delle gare di Verona e Cagliari (fino alla parità numerica).

CONTRACCOLPO. Insomma, al di là di Vlahovic, la Fiorentina qualche scricchiolio lo sta mostrando negli ultimi tempi. E se in tanti hanno comunque sottolineato come i viola avessero perso diverse partite anche con il centravanti serbo, così come magari la partita contro la Lazio non sarebbe cambiata con il neo bianconero ancora al centro dell’attacco viola, è indubbio che la cessione forzata a metà anno abbia cambiato e non poco la situazione all’interno del gruppo viola. Ogni ambiente, lavorativo o sportivo, non può non risentire dell’addio improvviso non solo del proprio miglior interprete, ma anche di un leader tecnico e carismatico. Certo, di fronte a certe cifre e a certe volontà perentorie probabilmente non si poteva fare diversamente, però il contraccolpo ci può stare. E’ normale. Così come, parallelamente, può essere doveroso concedere del tempo per l’inserimento dei nuovi arrivi.

TEMPO. Del resto, lo hanno visto tutti e lo ha sottolineato anche Italiano: questa Fiorentina è cresciuta allenamento dopo allenamento fin da Moena, quando ha potuto lavorare insieme, provare e riprovare i meccanismi, trovare le sincronie giuste. Lo stesso Vlahovic all’inizio faceva più fatica, così come Torreira e gli altri protagonisti viola. Logico, quindi, dover concedere tempo a giocatori che vengono da altri campionati. Peccato, però, che la Fiorentina di tempo non ne abbia molto. Il campionato va avanti, la stagione scorre, le partite diventano sempre più importanti: si testa direttamente sul campo, in sede d’esame, la capacità d’integrazione con i compagni. È il rischio di cambiare tanto a metà anno, a stagione in corso. Prendendo specialmente giocatori che vengono da altri campionati. Andrebbero aspettati, ma spesso non ci si può permettere di ‘regalare’ situazioni o movimenti non ancora coordinati a squadre organizzate che sono pronte a sfruttare ogni indecisione.

IL CASO IKONE’. Il tutto, come è evidente, è amplificato anche dal tipo di calcio di Italiano. Perché il tecnico viola ha importato a Firenze un calcio nuovo, brillante, divertente. Ma è una filosofia che ha principi chiari, che prevede movimenti perfetti, quasi maniacali nella loro ripetizione (pensate anche solo a quanto chiesto sulle catene esterne tra terzino, mezz’ala e ala). E in un calcio del genere diventa difficile sostituire improvvisamente un giocatore con un altro. Prendete Ikoné: si allena con la squadra da fine dicembre, ma Italiano lo ha schierato titolare solo a Cagliari (con risultati modesti) facendolo giocare poi solo spezzoni da un quarto d’ora l’uno (giocò mezz’ora a Napoli perché c’erano i supplementari). Eppure è un giocatore (molto) forte che è arrivato fisicamente in forma, reduce anche dall’esperienza in Champions. Piatek, che entrò bene a Napoli da subentrato (con gol), poi ha faticato parecchio dal 1′ sempre a Cagliari. Così come Arthur Cabral, in una gara ancor più complicata come quella contro la Lazio.

NELL’IMMEDIATO. E se il polacco comunque conosceva già il nostro campionato, per il francese e il brasiliano c’è anche l’ostacolo della lingua a mettersi di mezzo. Sembra una banalità, ma nel processo di integrazione in un calcio così non è certo un dettaglio. Certo, si dirà: non è detto che un giocatore ci debba mettere mesi per integrarsi. Vero, basta guardare (ahinoi) Vlahovic e Zakaria alla Juve, Sergio Oliveira e Maitland-Niles subito buttati dentro da Mourinho alla Roma. Ma al di là della caratura dei giocatori, sono contesti di gioco diversi. Semmai, sì, allo stesso Italiano è richiesta più flessibilità nell’inserimento anche forzato dei nuovi arrivati. Nel trovare contromisure immediate e meno futuribili. Perché come si è visto uno tra Arthur Cabral e Piatek deve comunque andare in campo, e Ikoné è un’arma che la Fiorentina deve poter sfruttare.

SOGNO O OBIETTIVO? Certamente, al netto di tutto, vien da porsi una domanda: l’Europa per la Fiorentina è un sogno o un obiettivo? Perché Commisso ad inizio stagione aveva parlato chiaramente: “Quest’anno mi aspetto di arrivare minimo nella parte sinistra della classifica. Mi piacerebbe, insomma, finire il torneo prima del decimo posto e quindi migliorare la posizione raggiunta nel mio primo anno alla guida della società viola”. Mentre Barone aveva parlato di “speranza” in merito alle posizioni europee. In quest’ottica, insomma, anche l’operazione Vlahovic e gli arrivi di Arthur Cabral, Piatek e Ikoné hanno più senso: la Fiorentina ha tutto per giocarsela con Verona e Torino e mantenere l’8° posizione attuale, a costo anche di concedere terreno per dar tempo ai nuovi di inserirsi con calma. Certo, in realtà, perdere ora il treno per l’Europa, dopo essere stati la rivelazione della prima parte di stagione, sarebbe un peccato. Anche perché tanti tra i giocatori viola (da Torreira a Gonzalez) hanno posto l’Europa tra gli obiettivi, così come l’ambizioso Italiano non ha certo troppa voglia di abbandonare le prime posizioni. Solo il tempo dirà quanto servirà ai nuovi per diventare decisivi per questa Fiorentina, e se i viola sapranno restare laddove si erano portati prima di fine mercato. Ora l’Atalanta, a Bergamo, altra gara da dentro o fuori da giocarsi in una situazione non certo semplice. Ma questo è. Al di là di tutto, serve una volta di più una reazione di gruppo. Per andare oltre qualche scricchiolio e riprendere il cammino giusto.

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