L’analisi delle prestazioni e del rendimento della stagione dei singoli della Fiorentina, si conclude con Palladino e la società
Fine stagione, tempo di bilanci e di voti. Non ha convinto granché il lavoro del tecnico, che però strappa sul finale il sesto posto. Da rivedere anche quello della società. I voti:
PALLADINO, VOTO 6 Bene aver fatto più punti dell’anno precedente, ma con quella che è stata definita dalla proprietà stessa come la ‘rosa più forte dell’era Commisso’ ci mancava altro che farne di meno. Un conto, tra l’altro, fine a se stesso. E’ vero che Palladino ha fatto più punti di ogni anno di Italiano, ma lo ha fatto in una stagione in cui la Fiorentina è uscita subito dalla Coppa Italia e non ha raggiunto almeno la Finale di Conference League. Le difficoltà che questa squadra ha avuto contro le piccole si sono ripetute sempre e comunque, fino alla fine. Aver fatto 2 punti contro Venezia e Monza non può essere accettabile se hai ambizioni, neanche se batti tutte le big del campionato. Anzi, forse proprio per questo, non aver trovato mai una convincente chiave per avere la meglio di squadre che hanno battuto quasi tutti, nonostante siano arrivate grandi vittorie contro le più forti del campionato, fa ancor più arrabbiare. In questo caso poggio e buca non fanno pari, insomma. Al tecnico vanno riconosciuti i meriti di aver più volte cambiato assetto tattico, con mosse che inizialmente hanno dato i loro frutti. Come quando passò dalla difesa a tre a quella a quattro a inizio stagione (dopo un inizio horror), poi passando al 3-5-2 quando quel 4-2-3-1 non funzionava più, soprattutto per la perdita di Bove. Ma, anche su questo si potrebbe discutere: ci ha messo tanto (forse troppo) a cambiare all’inizio, tanto (forse troppo) nel ‘dopo Bove’, così come nell’insistere su Comuzzo nella difesa a tre quando Pablo Marì non era in lista Uefa (forse si poteva cambiare anche lì). Tante le gestioni a gara in corso rivedibili, tra cambi e sostituzioni (col senno del poi) sbagliate. Ok aver rivitalizzato giocatori come Kean (che lui ha voluto), De Gea e aver fatto un filotto record di 8 vittorie consecutive in Serie A, ma in fin dei conti, come detto, una Fiorentina che ha avuto a disposizione il vice capocannoniere del campionato e uno dei top 3 portieri, arrivare per il rotto della cuffia in Conference League sembra essere il minimo sindacale. Ok, il sesto posto e i punti fatti avrebbero praticamente sempre garantito l’Europa League, ma non è accaduto. La speranza è che questo sia un punto di partenza. Ma anche per lui c’è da migliorare e crescere.
DIRIGENZA, VOTO 5.5 L’inizio era stato disastroso, con acquisti in ritardo e alcune scelte che parevano essere grandi azzardi. Poi la svolta, con De Gea e Kean che hanno fatto rivalutare in stra positivo il lavoro della dirigenza. Funzionava quasi tutto, con dei punti di debolezza, sì, che parevano essere stati risolti col mercato invernale. Alcune lacune, come il vice-Dodo e il vice-Kean sono apparse da subito dei rischi, e la Fiorentina l’ha pagato. Alla lunga anche altre scelte sono state riviste in negativo: Adli, Moreno, Colpani, Zaniolo, Richardson, la gestione del rinnovo di Dodo e tutti quei milioni spesi per prestiti onerosi che, a fine stagione, si potrebbero rivelare soldi spesi male. Capitolo a parte merita il rinnovo di Palladino, arrivato alla vigilia di una gara decisiva com’era quella col Betis. Quella che sembrava poter essere una mossa volta a dare fiducia al tecnico e a legittimarlo di fronte allo spogliatoio ha rischiato di trasformarsi in harakiri. Le avvisaglie che Palladino avesse ancora molto su cui crescere e migliorare c’erano. Chissà che il tempo non ne dica di più (in positivo, o in negativo). Resta quella voglia di salto di qualità che, ancora una volta, non c’è (del tutto) stato. Intanto l’Atalanta è ri-andata in Champions, il Bologna ha vinto la Coppa Italia e ri-farà una competizione europea di ben altro tenore rispetto alla Conference, il Napoli ha vinto un altro Scudetto e…da queste parti sarà ancora Conference.
Di
Gianluca Bigiotti