Fagioli, l’insostenibile leggerezza di essere (solo) un calciatore
Il ritorno del caso scommesse: il calcio come passione, ma anche come trappola mediatica
Nel calcio di oggi, l’esposizione mediatica è il prezzo da pagare per chi sceglie di fare questo mestiere. Fa parte del gioco. Ma anche nel gioco esistono dei limiti. E il punto è proprio questo: quanto può essere sostenibile, per un calciatore, restare sempre sotto i riflettori, anche quando lo spettacolo è finito?
Il caso scommesse che da oltre due anni scuote il calcio italiano è tornato al centro del dibattito pubblico. In particolare, il filone giudiziario milanese ha riacceso le luci su una vicenda che sembrava ormai alle spalle, almeno per alcuni protagonisti.
Tra questi ci sono due volti della Fiorentina: Nicolò Fagioli e Nicolò Zaniolo. Zaniolo è rimasto ai margini della questione e non ha subito sanzioni. Diverso il percorso di Fagioli, che invece ha affrontato tutto: giustizia sportiva, tribunali, e un cammino personale e psicologico di riabilitazione.
Il centrocampista classe 2001 ha scontato una squalifica di 12 mesi, di cui 7 effettivi (da ottobre 2023 a maggio 2024), mentre i restanti 5 sono stati convertiti in attività di sensibilizzazione contro la ludopatia. Fine della storia, almeno dal punto di vista sportivo.
Nessun nuovo procedimento in vista, e rischi giudiziari minimi: una sanzione pecuniaria che al massimo può arrivare a 500 euro. E allora, perché se ne parla ancora con toni così duri? La risposta non è semplice. Perché, da un lato, è vero che chi fa il calciatore accetta l’idea di vivere sotto una lente d’ingrandimento almeno fino ai 35-40 anni.
Ma dall’altro lato, sotto la maglia c’è sempre una persona. E questa dovrebbe essere la prima regola da ricordare, prima ancora di cadere nei giudizi. Il Ministro dello Sport Andrea Abodi ha parlato di “alto tradimento dei sentimenti”, sottolineando come la maglia azzurra debba rappresentare anche un comportamento morale.
Una posizione che poi ha parzialmente ritrattato, ma che ha lasciato il segno. Di tutt’altro avviso sono invece le parole del presidente FIGC Gabriele Gravina: “Di fronte a episodi come questi servono comprensione, non giudizio.
Prevenzione, educazione e sostegno. È questa la logica dietro le squalifiche a Tonali e Fagioli, ma anche il loro percorso riabilitativo. La pena doveva avere anche una funzione rieducativa.” Dichiarazioni importanti, certo, che mettono ancora una volta il calciatore nella morsa di un giudizio continuo.
Uomini di sport, sì. Ma anche uomini. E spesso più soli di quanto immaginiamo. In questi giorni, Fagioli ha scelto di parlare. E le sue parole pesano: “Ho pagato il mio debito con la giustizia. Con una condanna e una sacrosanta squalifica, con umiliazioni continue e giustificate, con la vergogna provata e con il rischio di non rialzarmi più […].
Ma vedere ora tutto questo accanimento mediatico mi sta facendo rivivere quei fantasmi. No, stavolta non è giusto. Ho sbagliato, ho pagato, e come ogni persona che sbaglia e paga, ho tutto il diritto di rialzarmi”. Un messaggio forte.
Un diritto, quello di ripartire, che dovrebbe essere garantito a tutti. Anche a chi ha avuto tutto, ha sbagliato e ha rischiato di perderlo. Perché la vera forza sta nel rialzarsi. E allora, in questo finale di stagione, a Fagioli non resta che fare quello che sa fare meglio: guidare il centrocampo viola, accendere la luce e aiutare la Fiorentina a inseguire l’Europa.
Con la testa sgombra, e la voglia di dimostrare che si può sempre ripartire. Anche quando tutto sembra perduto.
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