C’era una volta il fattore campo. Trent’anni fa, campionato di serie A 1987/88, finiva «2» una partita su sei (16%) e se quest’anno siamo arrivati addirittura a più di una su tre (36%) significa che qualcosa è cambiato, e parecchio. Così scrive il Corriere della Sera. A otto giornate dalla fine la nostra serie A ha già sfondato il tetto delle 100 vittorie in trasferta, precisamente 107, solo 9 in meno del record assoluto fatto segnare l’anno scorso dopo l’ultima giornata, 116. La proiezione attuale è oltre le 130. I successi interni, quelli del famigerato fattore, sono stati 129, quindi solo 22 in più rispetto ai «2».
Che succede? «Semplicemente è cambiata la mentalità» spiega Roberto Boninsegna, bomber degli anni 60 e 70 con Inter e Juventus. Che la vede così: «Ai nostri tempi anche le squadre più forti fuori casa puntavano onestamente al pareggio, che in fondo valeva metà vittoria, oggi con i tre punti è tutto cambiato». Alla base c’erano insomma ragioni psicologiche e ambientali che si possono spiegare in molti modi. Scientificamente: uno studio dell’università di Harvard era giunto alla conclusione che a un aumento di 10.000 tifosi favorevoli tra il pubblico corrispondono in media 0,1 gol in più a partita. Empiricamente: Ulivieri racconta che, quando giocava a Brescia, contro Lucescu perdeva sempre perché «quel diavolo all’intervallo cambiava i palloni e i miei non capivano più niente». Oggi in effetti questo non potrebbe succedere: i palloni sono tutti uguali per davvero, gli arbitri lo verificano sistematicamente prima di cominciare.
Gli stessi arbitri che, secondo una ricerca di Sports Illustrated, sarebbero la vera ragione del fattore campo, più dello stress del viaggio di chi arriva da fuori o dei tifosi ostili: il fattore cruciale, secondo la rivista americana, è l’influenza anche inconscia del pubblico sui giudici. Sul tema dei tre punti invece occorre osservare che ci sono dal 1993/94 eppure la vera impennata s’è registrata negli ultimi cinque anni: dal 28% del 2013/14 s’è saliti verticalmente fino all’attuale 36%, otto punti percentuali guadagnati in meno di un lustro sono la prova di una piccola rivoluzione «più tecnica che psicologica» come sostiene Gianni De Biasi.
L’ex c.t. dell’Albania individua le ragioni del crollo del mito nell’evidente «squilibrio di valori fra le squadre». Guardi la classifica e in effetti sono soprattutto le prime ad aver fatto percorso quasi netto lontano da casa, Juve e Napoli con 12 vittorie su 15, mentre dalla metà in giù i punti si fanno generalmente in casa, come da tradizione. Il Benevento, per intenderci, i suoi 13 punti li ha messi insieme tutti al Vigorito: ogni viaggio è stato a vuoto. La tendenza ad ogni modo è tutta italiana. Nessuno nell’Europa che conta ci sta dietro, quanto a segni «2»: in Premier e in Bundesliga sono al 28%, Liga e Ligue1 al 30%.
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Redazione LaViola.it