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Burdisso: “È arrivato il momento di proseguire la mia crescita altrove. Fiorentina destinata a far bene”

Nicolas Burdisso

Il direttore tecnico gigliato si congeda dalla Fiorentina: “Ringrazio società e tifosi, qui si vive il calcio in modo diverso”

Nicolas Burdisso, direttore tecnico della Fiorentina, ha parlato ai canali ufficiali viola. Queste le sue dichiarazioni: “Dopo tre anni, per me Firenze è diventata una seconda casa. C’è stato feeling fin da subito, è vero che storicamente c’è un legame molto bello tra la Fiorentina e gli argentini, non solo in campo ma anche a livello dirigenziale. Mi sono sentito a casa con questi splendidi tifosi, e soprattutto la società mi ha dato tutto, libertà di lavorare, facendomi sentire sempre in grandissima sintonia. Io e la Fiorentina ci siamo scelti a vicenda: in quel periodo i viola avevano bisogno di una figura prettamente tecnica e io stavo cercando un progetto in cui potessi sviluppare le mie idee, e poi volevo tornare in Europa dopo la mia esperienza al Boca Juniors. E’ arrivata la chiamata di Barone insieme e Pradè. Per me era una grandissima opportunità, perché la Fiorentina doveva tornare ai livelli che le competevano storicamente”.

RAPPORTO CON COMMISSO. “Famiglia. Sia lui, che sua moglie, che suo figlio, mi hanno fatto sentire come in una famiglia. Tutto ciò che abbiamo vissuto in questi tre anni lo abbiamo fatto in modo familiare. E’ anche una persona che ha una visione che va oltre il mondo del calcio, questo fa imparare costantemente. Mi sarebbe piaciuto condividere molto più tempo col presidente: ogni volta che viene qui cambiano le dinamiche dello spogliatoio”.

MOMENTO PIU BELLO. “Ci auguriamo che il momento più bello arrivi mercoledì prossimo. Non possiamo nasconderci: in questi tre anni abbiamo avuto una crescita costante, non solo a livello calcistico ma anche a livello di idee e pianificazione”.

BARONE. “Faccio sempre tanta fatica a parlarne e non emozionarmi. Condividevamo molto più tempo noi insieme che le nostre famiglie. Abbiamo avuto un legame molto forte, molto intenso, molto autentico. Quando sono arrivato lui conosceva poco di me. Dopo due-tre settimane abbiamo avuto un confronto molto acceso su una situazione tecnica. Per due giorni è stato molto freddo verso di me. Ho pensato: ‘Devo dimostrare a lui e a questa società che sono una risorsa, non contano più i titoli vinti e le competizioni disputate’. C’era da valutare un ragazzino, se prenderlo o meno, ho preso la macchina e ho fatto quasi 2000 chilometri andando verso l’est, perdendomi la prima partita da dirigente viola (vittoria 2-1 col Torino) per guardare la partita di questo ragazzo. Appena terminati entrambi gli incontri, Joe mi chiama e gli dico che il calciatore non faceva per noi, ma questi gesti ci hanno fatto capire che eravamo qui per la stessa cosa e che dovevamo lavorare insieme”.

PRADÈ. “Per me lavorare con lui è stato molto facile, anche perché abbiamo la stessa visione del calcio. Crediamo nella gestione, nelle persone, nei rapporti, nella comunicazione, oltre ovviamente alle competenze. Mi conosceva da calciatore, mi ha dato libertà assoluta per lavorare su tutti i fronti. È stato sempre un esempio per me, ho imparato tanto da lui: per me è un maestro ma anche un fratello maggiore”.

FERRARI. “Lo chiamo ‘il capitano’, perché nella squadra con cui giochiamo a calcetto è il capitano. I capitani si rispettano. Nessuna persona in questa società, dopo la scomparsa di Joe, conosce bene come lui tutte le dinamiche interne di questa bellissima famiglia. Nessuno più di lui ha lavorato in modo silenzioso, ‘sporco’. E’ una persona eccezionale e altamente competente, ora ha questa grande possibilità di portare il suo marchio a questa società. Penso sia la persona adatta, ha iniziato già col piede giusto”.

OPERAZIONE DI MERCATO PIÙ SODDISFACENTE. “I giocatori li prende la Fiorentina, non è mai una testa sola a decidere. Quella che ricordo di più, appena entrato, è stata quella di convincere Nico Gonzalez che noi eravamo il progetto tecnico per lui. Lui aveva quasi chiuso con un’altra squadra, quello è stato un lavoro molto forte. Oltre a ciò, mi dà grande soddisfazione vedere la crescita dei nostri giovani. Tante volte il nostro lavoro è anche dire ‘no’. Se c’è qualcosa di cui vado fiero è di aver portato in questi tre anni un modo di intendere il calcio, che va oltre una persona di mercato o un risultato. Abbiamo lavorato tutti in sintonia, questa è stata una cosa bella”.

VIOLA PARK. “È un’opera d’arte unica al mondo, lo dico da sportivo. Dobbiamo ringraziare tutti i giorni il presidente Commisso, la sua famiglia, e anche Joe Barone. Parlo di concetto: tutti i giorni Gonzalez fa la fila per prendere il cibo, dietro ci sei te, dietro ancora il ragazzo dell’Under 19, un tavolo accanto ci sono le donne. Questo porterà dei risultati negli anni. Prima del Viola Park, quando in una trattativa dovevo convincere un calciatore a venire qui andavo sulla parte tecnica, andavo sulla bellezza della città. Oggi il Viola Park è un argomento molto valido per convincere nuovi ragazzi, perché posso dirgli che abbiamo uno dei migliori centri sportivi al mondo. La Fiorentina è una società destinata a far bene, il Viola Park fa e farà la differenza”.

ADDIO. Ho comunicato a Ferrari e Pradè il mio pensiero: ho percepito che era il mio momento per continuare la crescita personale. Ovunque sono stato a lavorare sono andato via nella maniera giusta, perché credo che la correttezza e il saper ringraziare siano cose importanti. Dico grazie a questa società e ai tifosi.

FINALE DI CONFERENCE. “Abbiamo un grossissimo vantaggio: abbiamo già giocato una finale e sappiamo cosa vuol dire. Sappiamo quanto fa male non alzare la coppa, sappiamo quanto è importante tornare lì dopo un anno. Abbiamo fatto un conto col mister: in questi due anni abbiamo giocato quasi 120 partite”.

TIFOSI. “Saluto e soprattutto ringrazio i tifosi viola. Hanno sempre dato spazio e importanza al mio ruolo, alla mia visione, la cosa è sempre stata reciproca. Ho potuto conoscere una città che respira calcio in un modo veramente diverso. Legata alla sua storia, alla sua arte, alla sua cultura, al suo modo di vivere. Avevo parlato con qualcuno, ma questi tre anni ho toccato con mano cosa vuol dire fare calcio a Firenze: è un’esigenza costante, che ti fa crescere, ti spinge a non accontentarti mai. È stata un’esperienza molto bella, molto forte. La chiamerei un’esperienza radicale. Auguro solo il meglio a questi tifosi ed a questa società”.

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