Le parole del giocatore della Fiorentina sulla possibilità di giocare all’estero: “Mi è sempre piaciuta Londra e il campionato inglese”
La seconda parte dell’intervista esclusiva di Vanity Fair a Edoardo Bove, sulla mancanza del calcio nella propria vita: “Mi manca tantissimo. Non solo quello della Serie A, mi manca proprio giocare con gli amici. Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande, posso spiegarglielo solo così. Adesso la sfida è provare a continuare a essere me stesso, sapendo però di avere perso una parte importante di me”.
Prima di ora si era mai scoperto fragile?
“Non direi. Ecco perché questa cosa mi ha fatto molta paura“.
Ha ancora paura?
“Mi fa paura non avere, per la prima volta nella mia vita, una routine. Non ho uno schema da seguire, posso fare quello che voglio. Prima, mi svegliavo la mattina e sapevo che il mio obiettivo era allenarmi. Ora faccio 200mila cose in più, anche più importanti, ma arrivo a sera e mi chiedo: ma che ho fatto oggi? Non sono appagato allo stesso modo”.
Non si starà rattristando?
“Ma no, zero. So che questo è un periodo, una condizione temporanea. Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno”.
E come farà?
“Eh (ride, ndr). Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati”.
E poi? Ora ha un defibrillatore sottocutaneo in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare ed erogare uno shock salvavita per riportarne il ritmo alla normalità.
“Se si decide di mantenerlo, in Italia non potrò giocare: qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all’estero sì, praticamente ovunque. Gliel’ho detto, il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto”.
A un certo punto, forse, le toccherà fare tra sé e sé un calcolo del rischio.
“Mi possono dire quello che vogliono, ma l’ultima parola spetterà a me. Anche se decidessi di giocare all’estero, dovrei firmare un documento assumendomi la responsabilità di quanto potrebbe accadermi in campo”.
Sta pensando di giocare all’estero?
“Per come stanno le cose adesso, sì. Però non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità”.
Uno «regolare» e abitudinario come lei sarebbe pronto a questa svolta radicale nella sua vita?
“Non mi spaventa. Già quest’estate sono stato vicino ad andare a giocare all’estero. Non ho difficoltà ad adattarmi, mi basta trovare una mia routine”.
In che città non le dispiacerebbe trasferirsi?
“Mi è sempre piaciuta Londra. E poi il campionato inglese è molto competitivo”.
In questi mesi qual è la persona che le è stata più vicina?
“La mia fidanzata Martina, con una forza e un amore incredibili ha gestito una serie di situazioni non semplici, è riuscita a prendersi cura un po’ di tutti. Anche dei miei genitori. Ma ho ricevuto affetto da parte di tutti”.
Non se lo aspettava?
“Non così. Il mio caso ha quasi unito l’Italia, è stata una cosa potente. Per strada mi fermano anche i tifosi della Lazio per chiedermi come sto. Vede, alla fine se ti comporti bene, il bene ti torna indietro” .
Daniele De Rossi l’ha messaggiata?
“Eh sì, certo! Mi sarei arrabbiato se non l’avesse fatto”.
E Totti?
“Lui no”.
Qual è il risvolto più positivo di questa brutta vicenda?
“(Lunga pausa, ndr) Forse che mi sono iniziato a vedere come ‘una persona normale’. Perché un ragazzino che inizia a giocare a calcio ha la sua strada segnata fin da giovanissimo, ha un obiettivo chiaro, fisso e ben definito. Ha un fuoco. In questo momento sto cercando di capire come mi senta nel vivere una vita senza quel fuoco”.
E come si sente?
“Un po’ mi piace, lo ammetto. Ma allo stesso tempo non è facile: non sono abituato a tutto questo tempo libero che ho per fermarmi a pensare, stare solo con me stesso, riflettere. Ora devo fare i conti con aspetti di me che non conoscevo: i miei difetti, i lati del mio carattere che posso migliorare”.
Nel suo primo post su Instagram dopo l’incidente, scrive: «Il calcio è una comunità di persone, legate dalla stessa passione, che condividono momenti di gioia, commozione, rabbia, delusione e sofferenza. Proprio in questi momenti mi rendo conto di quanto questo sport sia genuino». Lo è davvero?
“Alle volte ce ne dimentichiamo, perché attorno al mondo del calcio girano tanti soldi e un business feroce. Ma alla fine, almeno per me, resta un prato verde sul quale divertirsi. Resta uno sport”.
Oggi mi sta confermando l’idea di lei che mi ero già fatto: non corrisponde in nulla allo stereotipo del calciatore. Non ha tatuaggi, non frequenta veline…
“È un luogo comune che ultimamente i calciatori stanno cercando di sfatare. Quello della nostra ignoranza è un mito, un preconcetto. Infatti, quando mi chiedono che lavoro faccia, io non rispondo mai il calciatore. Dico che gioco a calcio. Suona diverso, no?”.
Giocando a calcio ha già guadagnato molto?
“Sì, siamo fortunati, guadagniamo molto più degli altri sportivi, e non so quanto sia giusto. Certo, è vero che il business che gira attorno al calcio fa muovere tanti soldi, dai diritti di immagine a quelli televisivi. Ma è anche vero che un calciatore di serie A per allenarsi fa molta meno fatica di un qualsiasi nuotatore”.
Macchinoni e villoni non le interessano?
“No, ma anche io ho le mie passioni. Mi piace vestirmi, giocare a tennis”.
So che voleva diventare tennista.
“Ci sto ripensando, infatti. Magari adesso mi si riapre una carriera… (ride,ndr)”.
Dovrei chiederle «che cos’ha il tennis più del calcio» o «che cos’ha il calcio più del tennis»?
“Il tennis è lo sport che mi ha aiutato di più nella mia formazione, mi ha insegnato a responsabilizzarmi. Quando perdi una partita piangi, cerchi delle giustificazioni… il vento, la pioggia, la sfortuna. Poi capisci che è solo perché hai giocato peggio del tuo avversario. Nel calcio si gioca in undici, le responsabilità sono sempre condivise, nel bene o nel male. Io sono per i giochi di squadra”.
So che è iscritto all’Università. Sta studiando in questo periodo?
“Per niente, un disastro: non me lo so spiegare, avrei anche un sacco del tempo. Ma sto facendo un grande lavoro su me stesso, ed è anche molto faticoso. Non so quante energie mi restino da dedicare allo studio. Ma la laurea resta un obiettivo”.
Un semplice test per verificare quanto sia davvero diverso dal cliché del calciatore: quanti libri ha a casa?
“Ecco, questo è un mio punto debole: li inizio ma non riesco mai a finirli. Ma quando ero in ospedale Danilo Cataldi mi ha regalato Open, di Agassi. L’ho letto tutto d’un fiato”.
Di
Redazione LaViola.it