L’attaccante serbo ha parlato anche del suo rapporto con mister Prandelli e della gara di domenica al Franchi
Seconda parte dell’intervista del Corriere dello Sport-Stadio all’attaccante della Fiorentina Dusan Vlahovic.
Dusan Vlahovic, un girone fa, con l’arrivo di Prandelli, di fatto lei è diventato il centravanti titolare. Se l’aspettava?
«Ero appena rientrato dalla Serbia dopo la chiamata della Nazionale maggiore. Contro la Russia, nella seconda gara di Nations League, misi insieme gol e assist. Mi parlò, mi spiegò cosa avrei dovuto fare. Percepii subito grande fiducia. E dentro di me dissi: ricominciamo da capo. Ora devo dare il duemila per cento».
Il suo grazie lo ripete sempre anche a Prandelli.
«Perché devo tutto a lui e alla fiducia che la società mi ha riservato. Mi ha dato fiducia in un momento che per me era complicato: spero di contribuire a portare più punti possibili».
Qual è stato il momento, in questa stagione, che ha fatto da spartiacque, quello del primo Vlahovic e quello del Vlahovic di oggi?
«La gara con l’Inter, quella dell’andata a San Siro, dell’errore davanti al portiere (il mancato 2-4, ndc). Ho capito subito quello che avevo combinato. Qualche dubbio, su di me, è venuto per primo a…Dusan».
Ed è così che è nato il secondo Vlahovic, quello che fa un gol in acrobazia e tagga su Instagram Ibrahimovic.
«(Ride, ndr) Ma quello era uno scherzo! Figuriamoci se potevo avere la pretesa che Ibrahimovic potesse rispondermi, gli arriveranno migliaia di notifiche al giorno. No, non mi ha risposto anche perché non era quello il mio fine».
Le è mai pesata l’etichetta serba di “nuovo Ibrahimovic” con cui i media del suo Paese l’hanno presentata non appena lei ha messo piede a Firenze?
«I paragoni a me non sono mai piaciuti. Sia chiaro, è un onore essere accostati ad un campione come Zlatan, ti dà anche una buona dose di responsabilità. Ma un ragazzo deve sempre mantenere il suo equilibrio, perché c’è anche il rischio di bruciarsi. Nel calcio, come nella vita, servono umiltà, spirito di sacrificio, propensione di ascoltare tutti. Specie chi può darti consigli e suggerimenti. Poi tocca a te restare te stesso».
Quest’anno, non ha mai preso nemmeno un giallo. Ha imparato la lezione dell’espulsione incassata con la Lazio la passata stagione?
«Mio padre mi ripete sempre una frase: fai tesoro degli errori, trai sempre la lezione e falla tua. Quel fallo su Patric fu qualcosa di assolutamente inutile, un’ingenuità che non avrei dovuto commettere nel rispetto della squadra. Non a caso, subito dopo mi sono scusato. Ho lavorato anche su questo: se c’è da ingaggiare un duello non mi tiro indietro, serve anche il lavoro “sporco” ed io per la mia squadra ci sono sempre».
Domenica arriva il Milan che lontano da San Siro viaggia ad una media impressionante. Sarà Davide contro Golia?
«Il calcio che gioca il Milan è sotto gli occhi di tutti, ma sono queste le partite più affascinanti. Non vediamo l’ora e, soprattutto, non abbassiamo la guardia. Io non sarò distratto da nulla. Il passato, tripletta inclusa, non conta più, bisogna guardare in avanti, pensando solo a migliorare. E adesso, l’unica cosa che conta è fare bene domenica. Ne siamo consapevoli tutti».
Ritroverà Pioli che l’ha fatta debuttare in A.
«Un grandissimo allenatore, a cui auguro di arrivare più lontano possibile in Europa League, anche in campionato ha fatto vedere cose egregie. Non è un caso che sia in corsa per lo scudetto. Ma è anche una persona di altissimo spessore umano. Quando sono arrivato a Firenze, era successa da poco la tragedia di Davide. Pioli stava con noi giocatori, era come un padre. Trattava tutti nello stesso modo, quelli giovanissimi come me e i senatori. Non ha mai usato differenze. Mi ha regalato la gioia dell’esordio in A, benché non fossi pronto. Per tutto questo posso solo ringraziarlo».
Di
Redazione LaViola.it