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Vlahovic a VI.IT: “Sono innamorato di Firenze. Titolare o no, l’importante è che la Fiorentina vinca”

L’estate da protagonista, la doppietta al Monza, il rapporto con Firenze: l’attaccante serbo classe 2000 si racconta a LaViola.it.

Diciannove anni e grande determinazione. Dusan Vlahovic, attaccante classe 2000, si racconta in un’intervista esclusiva a LaViola.it: dall’estate da protagonista alla doppietta in Coppa Italia, fino al suo rapporto con Firenze, ai sogni e agli obiettivi in maglia viola.

L’inizio di questa stagione è stato molto positivo per te, perché sei stato subito decisivo con la doppietta contro il Monza in Coppa Italia. Che emozione è stata per te?
Un’emozione difficile da spiegare. Sono stati i miei primi gol con la maglia della Fiorentina, era molto importante e quindi sono stato veramente contento di aver potuto regalare la vittoria alla squadra“.

Poi subito dopo c’è stata la maglia da titolare contro il Napoli, poi la panchina e il cambio di modulo che ti ha penalizzato. Come stai vivendo questa prima parte di stagione?
La partita contro il Napoli era una partita difficile, contro una delle squadre più forti del campionato, e quindi sono stato contento di scendere subito in campo. Poi poco importa la panchina arrivata dopo. Il mister fa le sue scelte e io devo rimanere concentrato e lavorare per cercare di metterlo in difficoltà“.

Tra l’altro quest’anno c’è tanta concorrenza in attacco…
Certo, proprio per questo non posso dire niente. Devo solo stare zitto, correre e lavorare perché tutti sappiamo chi gioca davanti“.

L’anno scorso hai fatto una scelta importante, ovvero quella di non andare via in prestito ma rimanere a Firenze e scendere in Primavera, dove peraltro sei risultato decisivo. Quanto è importante per te questa maglia e cosa ti ha portato a questa decisione?
Sono innamorato di Firenze e della Fiorentina. Questo è un grande club, in una città bellissima e con tifosi legatissimi alla squadra. Mi piace stare qui. L’anno scorso ho chiesto al mister di andare in Primavera perché non volevo andare da altre parti. E secondo me è stata la scelta giusta“.

Quest’estate, al termine della prima amichevole negli Stati Uniti contro il Chivas nella quale non eri riuscito a segnare e avevi colpito il palo, c’è stato un episodio che mi ha molto colpito: sei rientrato negli spogliatoi arrabbiatissimo, sbattendo il pugno contro il muro ecc. Avevi una grande voglia di dimostrare chi sei, nonostante si trattasse solo di un amichevole?
Per me non ci sono amichevoli, perché ogni partita è un’occasione per mettere il mister in difficoltà. Dopo ogni partita sono arrabbiato perché non sono mai soddisfatto e penso sempre di poter fare qualcosa di più“.

Che esperienza è stata la tournée americana, anche al di là dell’International Champions Cup?
“È stata un’esperienza bellissima. Visitare New York, vedere la Statua della Libertà, l’università dove ha studiato il nostro presidente… Lì abbiamo avuto anche l’opportunità di capire la “grandezza” come uomo di Rocco Commisso. Per quanto riguarda invece le partite invece non sono molto soddisfatto perché quando ho giocato non abbiamo vinto”.

Anche se alla fine sei risultato uno dei migliori della tournée, anche per quanto visto in allenamento. Questo ti ha dato la fiducia necessaria per capire che avevi la possibilità di giocarti le tue carte in prima squadra?
“Non mi piace parlare di me stesso. Io voglio solo lasciar parlare il campo e dimostrare lì quanto valgo”.

A te non piace parlare di te stesso, però ci sono un paio di tuoi compagni che hanno speso belle parole per te. Uno è il tuo amico Milenkovic, che due anni fa ha disse che puoi diventare uno dei centravanti più forti del mondo. L’altro è un campione affermato come Boateng, che quando è arrivato in estate ha notato subito le tue potenzialità. Che effetto ti fanno queste dichiarazioni di stima?
“Boateng è un grande campione, che ha fatto una grande carriera, ed è venuto qui per aiutare la squadra in campo ma anche fuori, soprattutto i giovani. È un grande uomo di spogliatoio, che ha la giusta mentalità, e per me può essere solo un esempio. Se invece parliamo di Milenkovic, è diventato uno dei primi tre-quattro difensori in Serie A perché ha una dedizione al lavoro che raramente ho trovato in altri giocatori. È concentrato al 100% sul campo e questo lo porta ad essere così forte”.

In cosa pensi di dover ancora migliorare?
“In tutto. Si può e si deve sempre puntare a migliorare”.

Il tuo punto di riferimento nello spogliatoio chi è?
“Tutti sono importanti. I miei esempi in particolare sono Boateng, Chiesa, Milenkovic e Ribery”.

Ecco, proprio a proposito di Ribery. Lui passa molto tempo ad aiutare i giocatori più giovani. Com’è condividere lo spogliatoio con un campione come lui e che consigli ti ha dato?
“È un’esperienza incredibile. È un giocatore che ha vinto dieci volte la Bundesliga, la Champions, ha giocato la finale del Mondiale con la Francia eppure è umile, è un professionista e a 36 anni ha ancora tanta fame e voglia di vincere e dare una mano ai giovani. Non ci sono parole per descriverlo, è una cosa che non avevo mai visto prima”.

Ti sei dato un obiettivo per questa stagione?
“Sì, ma preferisco tenerlo per me (ride, ndr)”.

Tornando al cambio di modulo, questo ha penalizzato le prime punte come te. Montella però vi sta dicendo che prima o poi tornerà il vostro momento?
“Certo. Noi dobbiamo solo lavorare per cercare di convincerlo. In allenamento dobbiamo dare sempre il 200% e rimanere con i piedi per terra. Solo così possiamo provare a far cambiare idea al mister. Poi se la squadra va bene e vinciamo, non ha senso cambiare. Chi gioca non è importante: l’importante è che la Fiorentina vinca”.

E secondo te questa Fiorentina dove può arrivare?
“Se chiedete a me, io vi direi che punto anche a un posto in Champions. Però noi puntiamo a fare il meglio possibile, magari con un piazzamento in Europa League”.

CLICCA QUI PER LEGGERE LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA

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