Arrivò a Firenze nell’estate che avvicinava i favolosi 80’ al decennio successivo. Lui, insieme a Buso e Volpecina, era un pezzo di contropartita inviata qui da casa Juventus. L’accordo era fatto anche di soldi e diplomazia tra imprenditori, l’epilogo era previsto per l’anno successivo: Baggio alla Juve, scontri, lacrimogeni e così sia. Oggi Stefano Pioli si avvicina al ritorno a Firenze. Lo ha confessato lui stesso a Simone Inzaghi qualche giorno fa, prima di essere cacciato da Suning: «Vado a Firenze, qui vogliono Conte o Spalletti».
Chissà. D’altra parte Pioli non è un nome nuovo. Già era stato contattato a ottobre, per risolvere la questione Sousa. Ma la Fiorentina aveva preso tempo e l’Inter invece no. Ma la fiamma si è riaccesa l’altra sera, quando in diretta tv, durante la partita di Champions della Juve, il telecronista ha esclamato con tono grave: «L’Inter ha esonerato Pioli». Beh,sempre meglio che ricevere una telefonata di fine rapporto da Cancun, Mexico. Era accaduto a Bologna, dove l’ex difensore non stava andando un granché. Era gennaio e Baraldi gli disse: arrivederci. E forse forse subito dopo tornò a sdraiarsi sulla sabbia dorata. Poi toccò anche a Lotito, a sette giornate dalla fine: dentro Inzaghi. Scelta giusta, alla fine dei conti. Ma Pioli è l’uomo scelto per riavviare la Fiorentina. Corvino aveva puntato su Giampaolo e sparso quasi per ridere il nome di Sarri.
Ad Andrea piaceva Di Francesco, che ha chiesto Berardi. Il direttore generale ha ubbidito, ma giusto così, tanto per fare. Il Sassuolo ha sparato 40 milioni. Corvino ha detto grazie e arrivederci, dopo essersi frugato in tasca, forse per fare finta di controllare se c’erano i soldi. Ma poi Di Francesco è amico di Montella, e comunque non è uno molto addomesticabile. No che Pioli lo sia, ma di sicuro è più abituato a dover fare i conti con situazioni particolari, come era accaduto nel Bologna in crisi economica e alle dipendenze del generale Lotito. Pioli si sa adattare, insomma, ed è uno di quelli malati di calcio, tutto casa e campo. Un “normal one” che conosce il lavoro umile e sa che per conquistarsi occasioni preziose bisogna aggiornarsi.
Non a caso quando fu chiamato all’Inter a molti l’accostamento non suonava un granché bene. Lì il problema non è costruire un gioco ma essere accettati dallo spogliatoio. Che sfida. Lui che aveva studiato il sistema Mourinho, dalla preparazione delle conferenze stampa, al motivatore che si portava dietro ai tempi del Bologna. Anthony Smith, si chiama, volendo lo trovi via Google. Un normal one alla ricerca di un salto. Ci ha provato, sembrava perfino esserci riuscito. Ma i giocatori sono una razza particolare, magari gli dici di correre e loro ti rispondono: scusi, ma lei che ha vinto? Ecco, in effetti il karma di Pioli somiglia a quello della Fiorentina: una finale di Coppa Italia persa (molta sfortuna) e lo Sparta Praga che sotterra la Lazio all’Olimpico con tre gol nel primo tempo, quando all’andata i biancozzurri avevano strappato un ottimo 1-1. Quarti di finale di Europa League buttati via.
Vi ricorda qualcosa? Beh, diciamo che al primo anno l’ex difensore vola alto. Sia a Bologna che a Roma fa belle cose. Poi il calo. Le pressioni lui le sente e infatti i derby non fanno per lui. Però i tifosi gli vogliono bene e quando lo licenziano a Bologna la curva ha pronto uno striscione che è un immenso grazie. Forse perché Stefano ci mette tutto se stesso e vive lontano dall’arroganza. Forse perché a Roma voleva che i giocatori imparassero l’inno della squadra a memoria. Forse, chissà. Di sicuro Cognigni non vuole altre grane, perché poi tocca sempre a lui cacciare quelli bravi e troppo ambiziosi.
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Redazione LaViola.it