Dopo il duro messaggio di Diego Della Valle, la città ribolle. E gli scenari per il futuro sono tutt’altro che rosei
Tutti i presidenti di società di calcio si sono presi almeno un insulto nella vita. E’ una cosa che merita condanna, a prescindere. Perché le offese non sono mai giustificabili. Poi c’è il calcio. Piaccia o meno, è così da oltre un secolo. Non è una giustificazione, sia chiaro. Gli striscioni di infamie sono sempre da condannare. Ma a tutto va dato il peso che merita. E non ce lo vediamo Diego Della Valle che si alza in tribuna, sale sulla balaustra, e fa partire un coro a rispondere a chi gli rivolge cori di infamie.
L’equivoco che va avanti da quasi vent’anni è piuttosto chiaro: voler fare calcio non sottostando alle regole (scritte o non scritte) di un mondo troppo lontano dalla natura della proprietà viola. Nel calcio serve organizzazione calcistica. I casi vanno gestiti con regole di calcio. Non imprenditoriali. I tifosi non sono clienti. Perché se pagano lo fanno perché mossi da una passione, non dalla qualità del prodotto. Se poi la qualità di ciò per cui pagano diventa scadente, non andranno comunque nel negozio accanto. La comunicazione nel calcio è tutto. Poi ci sono i fatti. Ma se dici A e poi fai B, devi mettere in conto che qualcuno ti chiederà spiegazioni. E non potrai rispondere con C, se poi farai D.
Soprattutto quando in una lunga lettera non si fa altro che rinfangare il passato. Dove qualcuno potrebbe rispondere citando i vari ‘Salah nostro per 18 mesi’, Milinkovic-Savic, il ‘lotteremo per lo scudetto’, la vicenda nuovo stadio, e via discorrendo. Nel calcio il tifoso può sbagliare. Ma anche una proprietà o una dirigenza possono commettere errori. Che tuttavia non hanno lo stesso peso. Non possono averlo. E se chi appone uno striscione sui cancelli dello stadio, poi, può ricredersi tornando ad incitare, sostenere, e fare cose di calcio, un imprenditore di fama mondiale non può pensare che se la squadra è esima in classifica, si ritrova con uno stadio semi vuoto, una città in rivolta e con i conti pure in passivo (che è un’aggravante) non può pensare che abbia fatto tutto nel modo migliore. Tutti sbagliano. Non importa cercare sempre colpevoli altrove. Non servono comunicati al veleno contro Pioli, screditandone anche l’immagine dell’uomo. Così facendo si passa solamente dalla parte del torto. Bastava fare semplice autocritica. O esonerare Pioli se non si era convinti del suo lavoro. Bastava dire A e fare A. O almeno provarci. Ma davvero può essere colpa dei tifosi che criticano se la Fiorentina è scivolata in gerarchie, appeal, e adesso lotta per la salvezza?
Quello che sta accadendo attorno alla Fiorentina ha tutti i prodromi per scenari tutt’altro che rosei. La parte più calda del tifo è sul piede di guerra. Ha chiesto troppe volte chiarimenti, incontri, chiarezza. Ma come risposta, adesso, ha ricevuto una porta in faccia durissima. Cosa dovrebbero dimostrare adesso i tifosi? Di essere in grado di rilevare la società? O forse farsi andar bene tutto? Game over scrivevano gli ultras fino a pochi giorni fa. Adesso, game over, pare averlo detto anche lo stesso Diego Della Valle. Altro che ripartenza. All’orizzonte non ci sono arcobaleni viola, come auspicato da qualcuno. Ma solo nuvole, scure, molto scure. Trovare le soluzioni non spetterà di certo a chi scrive, né tanto meno ai tifosi, come forse qualcuno si aspetta. Ci sono oneri e onori. E quando si decide di fare calcio bisogna prendersi entrambi.
Di
Gianluca Bigiotti