Connect with us

Rassegna Stampa

Sousa e Fiorentina, il lunghissimo addio. Questione di feeling svanito in un anno

UN anno senza vento. Il suo e quello della Fiorentina. Dovesse ricercare qualcosa che gli ha fatto battere il cuore per davvero, probabilmente Sousa dovrebbe puntare gli occhi della memoria sul campo di Baku e su quella corsa di Federico Chiesa verso la panchina. Il gol del ragazzino e quell’abbraccio probabilmente resteranno come il momento più intenso di un 2016 senza intensità: per lui, per la sua squadra, per i tifosi del colore viola. Il giovane attaccante è stata anche la sua unica idea vincente dell’anno in corso.

Partite memorabili zero, emozioni da brividi solo sul finale. E pensare che Paulo il guru era entrato nel 2016 scortato da una città entusiasta che dopo una vita si era divertita un sacco a urlare al mondo “Salutate la capolista”. Qualcosa di talmente diverso dal solito che quasi non ci si credeva. Infatti. Passate le feste: tutto come prima. Prima di Montella, però. Perché da allora Paulo e la Fiorentina non si sono più ripresi. Niente di drammatico, la squadra in Europa ce l’ha portata anche lui. Ma la luce negli occhi non c’era più. Puff, sparita, niente di niente. Molte parole e basta. Dopo la rottura con la proprietà per un mercato povero figlio del verbo più in voga: risparmiare.

Ma se i predecessori Prandelli e Montella avevano diviso in fazioni la città, i Della Valle da una parte, gli allenatori dall’altra, a questo giro il tecnico è riuscito a risultare quasi meno pop dei suoi padroni, anche perché dal gennaio di un anno fa si è cominciato a capire che lui restava qui più per contratto che per amore, e che il suo nome osannato dalla gente e dai titoli dei giornali in quei tre mesi incredibili rischiava di annegare, esattamente come la Fiorentina, in una normale normalità. Poca roba, insomma. A parte le battute in sala stampa, soffiate col solito tono, con la solita voce da doppiatore di telenovelas. Come quando, a Moena, disse: «D’ora in poi parlo solo del campo».

E da lì fu chiaro a tutti che il feeling con Cognigni, cioè con Diego, si era spezzato da un bel po’. Anche a Montella era stata chiesta, cioè ordinata, la stessa cosa: lui pensi ad allenare, al resto ci pensiamo noi. Insomma, Sousa allenatore manager non era proprio possibile. La Fiorentina non è lo United. E lui non è Ferguson. E così è nato l’addio più lungo della storia del calcio, e forse anche del cinema. Una fiction fatta di battute, appunto, e di cene fugaci soffiate in giro per vedere “l’effetto che fa”. Che poi cenare coi dirigenti dello Zenit non è mica una colpa, ma invitare tutti a vedere la partita a Empoli sapeva quasi più di provocazione. Robetta. Il feeling, comunque, era già rotto.

E un allenatore che ti fa capire di non avere più sogni, almeno da queste parti, ci sta che riesca a smosciare l’umore di una intera città. Certo, lui da professionista fa quello che deve fare. Allena la squadra e incontra pure i tifosi, gli stessi che avevano chiesto alla società due o tre cosine, tra cui il ritorno di Antognoni. Ma poi arrivano anche le sue parole sul futuro di Bernardeschi, uno che merita piazze più ambiziose. Beh, tutti sanno che purtroppo questa è una tristissima verità. Ma sentirsela dire piace poco o nulla sia al tifoso orgoglioso che alla società permalosa. E adesso Paulo ha davanti sei mesi per stupire e lasciare un bel ricordo. Per lui ci saranno altre mete. Forse addirittura la Juve, il che lo obbligherà a farsi tornare fin da subito la luce negli occhi per essere credibile e utile alla causa. Una bella sfida, dopo un anno di profondo nulla, anche per farsi perdonare scelte tra il comico e il tragico. Come il Milic alla Giggs:, ovvero il top dell’astrazione emozionale. Già.

16 Comments
Iscriviti
Notifica di
guest

16 Commenti
ultimi
più vecchi più votati
Vedi tutti i commenti

Altre notizie Rassegna Stampa

16
0
Lascia un commento!x