Stasera l’ex tecnico viola entrerà nella Hall of Fame della Fiorentina: “Gran ricordo di Firenze, ecco perché me ne andai”
Stasera entrerà nella Hall of Fame della Fiorentina, con la promozione in A, due trofei e quattro anni sulla panchina viola. Claudio Ranieri ha parlato così al Corriere Fiorentino: «È un immenso piacere, ricordo Firenze con grandissimo affetto. Quelli viola sono stati quattro anni magnifici, dentro e fuori dal campo. La città è bellissima, la gente passionale. Lì ho conosciuto amici veri come il vostro collega Alessandro Rialti, che purtroppo non c’è più».
RICORDO PIU’ BELLO. «La festa dei 40 mila allo stadio dopo Bergamo ovviamente, fu una notte magica, tra le più belle della carriera. Volevo far giocare una partitella alla squadra, per intrattenere il pubblico, ma non ci fu verso. Fummo travolti d’amore». Quando capì che l’impresa si poteva fare per davvero? «Il segnale lo dette Batistuta, quella tripletta all’Inter fu qualcosa di magnifico. Capimmo davvero di avere una possibilità di vincere, l’appetito in fondo viene mangiando. La finale fu molto difficile, l’Atalanta di Mondonico non lasciava spazi e per batterla ci servì, di nuovo, Batigol. Il nostro campione, il nostro leader silenzioso che in quegli anni era tra i calciatori più forti al mondo».
AMBIZIONE SCUDETTO? «Al contrario, dopo quella cavalcata europea capii che avevo fatto il mio tempo. Gestire il doppio impegno è molto difficile, soprattutto se non hai esperienze di questo genere. La classifica era deludente e con Vittorio (Cecchi Gori, ndr) non c’era più il feeling dei primi tempi. Me ne andai e fu giusto così. I tifosi però non c’entravano nulla, la frase sui dieci anni di B era solo una battuta. Con la città anzi conservo un bellissimo rapporto ancora oggi. Per la verità anche con Vittorio: ci siamo visti prima del Covid, è stata una bella rimpatriata».
ANCHE ITALIANO… A proposito di doppio impegno, anche a Italiano sta costando caro. «Rientra nella logica, soprattutto se hai una squadra giovane. L’Europa ti costa energie mentali prima che fisiche e spesso fai fatica, anche solo a livello motivazionale, a giocare a grandi livelli tre giorni dopo. È fisiologico, è una questione di mentalità. Soprattutto al primo anno. Io stesso, come dicevo prima, pagai lo scotto nell’anno della Coppa delle Coppe in viola. Mi servì per crescere».
Di
Redazione LaViola.it