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Quell’abitudine alla mediocrità che non si adatta all’orgoglio viola

Il rischio adesso è di abituarsi alla mediocrità. Di pensare che, in fondo, dopo tre vittorie consecutive una sconfitta con il Crotone ci può anche stare. E che perdere quattromila spettatori a partita è fisiologico perché i nuovi progetti hanno bisogno di tempo per essere capiti e metabolizzati. La Fiorentina non può essere il diminutivo di se stessa. Non lo è mai stata, neppure nei momenti più difficili. La mediocrità non è fatta per questa città, sempre e comunque oltre. Specialmente nel calcio, dove l’orgoglio molto spesso ha appiattito le differenze.

Invece adesso sembra che tutto sia così banalmente ovvio. Scontato. Inevitabile. Che squadra e società attraversino euforia e delusione con lo stesso atteggiamento. Eppure, se si guarda cosa ha espresso finora il campionato, la Fiorentina non è messa così male. Nessuno chiede lo scudetto, ma una squadra che lotti e si sbatta, e poi alla fine si faranno i conti. E non una squadra che trasformi la mediocrità in alibi. Mancano i leader. Giocatori che sappiano scuotere il gruppo quando cala la tensione. Uomini che abbiano un peso, in campo e fuori, e che facciano sentire la loro personalità. Una “mancanza” che probabilmente ha anche Pioli.

Lasciamo stare la società, lì il vuoto è abbastanza evidente. Il punto è che l’ovvio sembra diventato una regola e c’è il rischio che il campionato viola si appiattisca in una normalità che non piace a nessuno. La Fiorentina deve violare l’anonimato, uscire dal banale, trovare la forza di diventare squadra nel senso vero, pieno. Dare un calcio alla mediocrità e riprendersi il suo spazio. La partita con la Roma può essere una buona occasione.

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