Sei anni dopo quell’addio a suon di comunicati con i Della Valle, Pioli vuole riscrivere una nuova storia con la Fiorentina
Nel calcio sei anni sono una vita intera. Lo scorrere del tempo medica le ferite, smussa le acredini e a volte restituisce i sorrisi. Stefano Pioli e la Fiorentina sono una di queste volte. Si sono separati malissimo nel 2019, si riabbracciano adesso perché hanno di nuovo bisogno uno dell’altra. Al Pioli-ter (oltre alla prima avventura in panchina, ce n’è anche una da giocatore a cavallo fra gli Anni 80 e 90) mancava soltanto l’ufficialità, che è arrivata ieri. Nel suo staff, fra gli altri, il vice Tarozzi e il figlio Gianmarco. Pioli saluterà i tifosi domani, in occasione del Viola Carpet, e sarà presentato mercoledì, mentre oggi è il giorno del raduno, scrive La Gazzetta dello Sport.
#DA13. Questa è la parte di cronaca, ma Pioli che torna a Firenze non può essere ridotto alla nuda cronaca. È la riscoperta di un amore che ha convissuto col dolore incancellabile di un capitano portato via alla sua squadra e ai suoi 31 anni da una morte assurda, che Stefano ha vissuto con tutto il suo dramma sulla propria pelle. E che infatti ha voluto tatuare su quella stessa pelle: #DA13, il numero di maglia e le iniziali di Davide Astori. «È sempre con me», risponde il tecnico quando si parla di Davide. Al di là dei risultati sportivi alla guida della Fiorentina, quando si nomina Pioli a Firenze tutti concordano su una cosa: è stato magistrale nel gestire una situazione così dolorosa e complessa. In ogni ambito: quello pubblico e all’interno dello spogliatoio, il luogo dove si muovono i meccanismi più delicati. Quell’anno la Viola arrivò ottava, quello successivo la situazione peggiorò sensibilmente, fino all’addio anticipato. Una separazione ricca di polemiche e malumori affidati a comunicati ufficiali.
ON FIRE. Per Stefano era stata una separazione dolorosa, come l’aveva definita lui stesso, soprattutto per le modalità brusche e di dominio pubblico. Ma, anche se ancora non lo sapeva, stava per infilarsi in un’avventura entusiasmante che lo avrebbe portato col Milan a quello che i tifosi rossoneri definiscono tutt’ora «lo scudetto più bello di sempre». Vinto in rimonta sull’Inter. Gettandone le basi tempo prima, durante la clausura della pandemia, quando a Pioli era riuscito un miracolo: spremere il meglio dalla squadra proprio mentre i suoi giocatori si allenavano da soli in videocall. Ha riportato il Diavolo in Champions, fino alle semifinali, e “Pioli is on fire” è diventato la colonna sonora del mondo rossonero. Poi il declino, un ciclo che si è consumato come la cera di una candela, fino alla risoluzione contrattuale e alla nuova, ricchissima vita in Arabia, alla guida dell’Al Nassr di CR7. Non è finita benissimo — anche in questo caso una risoluzione anticipata —, ma allo stesso tempo è ricominciata una nuova esistenza italiana. È stato accostato al Napoli, alla Roma, all’Atalanta, alla Nazionale e, ovviamente, alla Fiorentina. Che l’ha riaccolto con affetto, sei anni dopo: sì, nel calcio è davvero una vita.
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Redazione LaViola.it