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Rassegna Stampa

Protocollo Var ed errori arbitrali. Italia apripista del Challenge?

Altro weekend pieno di errori arbitrali in Serie A. L’Italia si era detta favorevole a sperimentare il Var a chiamata

Dopo un altro weekend complicato per le decisioni arbitrali, sorge una domanda costruttiva: perché non fare la Var a chiamata, il cosiddetto challenge in uso nel basket e nel volley, si chiede la Gazzetta Dello Sport? All’alba di questa stagione, il neo rieletto presidente della Figc Gabriele Gravina aveva annunciato la disponibilità italiana a sperimentare importanti innovazioni per migliorare il calcio e proiettarlo nel futuro. Dal tempo effettivo al sistema elettronico di comunicazione tra allenatore e capitano, per finire proprio con la Var a chiamata e con la possibilità per l’arbitro di motivare in campo le decisioni assunte con l’ausilio della tecnologia.

APRIPISTA. Gravina aveva scritto all’Ifab – l’organo internazionale deputato a modificare le regole del calcio – manifestando la volontà dell’Italia di fare da “apripista” a tali forme di sperimentazione. La Var è nata con un protocollo “ristretto” affinché non diventi una moviola in campo che spezzi la fluidità del match, rendendolo uno spettacolo poco fruibile. Allo stesso tempo, però, questa limitazione dell’intervento – 1) gol; 2) calcio di rigore; 3) espulsione diretta (non seconda ammonizione); 4) scambio d’identità – è essa stessa limitante, cioè portatrice di fastidiosi cortocircuiti come quello occorso a Empoli. Tomori espulso per seconda ammonizione cercando di fermare un giocatore in sospetto fuorigioco; fuorigioco però impossibile da verificare in quanto il Var non può operare nel caso di cartellino giallo. Un vero paradosso.

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