Le condizioni degli scienziati: o si prende in considerazione l’idea di fermarsi in caso di positività oppure è inutile partire
Si parla del protocollo di sicurezza per la ripartenza della Serie A sulla Gazzetta dello Sport. Il problema è che c’è un punto dirimente, un colle in questo momento sembra invalicabile: cosa fare in caso di positività. Gli scienziati su questo hanno chiuso tutte le porte, ma non solo loro: di fronte a un caso, i calciatori – o i membri del cosiddetto «gruppo squadra» – devono essere trattati come gli altri. Due settimane di quarantena. Per il «positivo», ma anche per le persone che hanno avuto contatti ravvicinati con lui. La commissione medica della Figc aveva invece studiato una sorta di modello tedesco, con una chiusura di una settimana per prevenire qualsiasi possibilità di ulteriore contagio (tamponi a distanza di 24 ore e test sierologici in 5-7 giorni). La differenza è abissale: da una parte c’è la certezza del colpo di spugna sul campionato, ormai è chiaro che qualsiasi ipotesi di calendario si sfascerebbe di fronte a ulteriori due settimane di stop, dall’altra la possibilità di andare comunque in avanti.
AUT AUT. Gli scienziati sono categorici. A meno che il famoso indice R0, il livello di trasmissione del contagio, scenda sotto una soglia di sicurezza. Ora è poco sotto l’1, si ipotizza che il limite rassicurante possa essere 0,2, ma ieri il ministro della salute Speranza ha negato che ci sia un tetto massimo. È davvero presto però per ipotizzare uno scenario così ottimistico. Quindi resta l’aut aut al calcio: o prendete in considerazione l’idea di fermarvi in caso di positività oppure è inutile partire. Da questa alternativa così categorica, Spadafora trae il suo scetticismo, la linea del «sentiero sempre più stretto».
CENTRO-SUD. L’incontro sul protocollo dovrà essere nuovamente calendarizzato. Potrebbe avvenire in tempi brevi, ma non è scontato. Anche perché ci sono delle possibili derivate. Il problema del sopraggiungere di una positività non è tale solo per gli effetti sul resto della squadra. È una prospettiva che spaventa in sé. Evitare questa eventualità significa abbassare i rischi drasticamente utilizzando tutti gli strumenti possibili. Per esempio: giocare soltanto nell’Italia in cui il numero dei contagi sarebbe talmente basso da avvicinarsi, anche grazie al «gruppo squadra» chiuso con l’esterno, al rischio zero. Dunque, nel centro sud. Sarebbe una scelta complicata anche perché a quel punto almeno mezza serie A dovrebbe trovarsi centri di allenamento più vicini agli stadi dove si giocherebbe (ovviamente a porte chiuse). Ci sono le condizioni per prendere in considerazione questa ipotesi? Per discuterne il calcio vuole capire l’orientamento generale del governo.
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Redazione LaViola.it