Un anno fa la Fiesole intonava salutate la capolista. Al Franchi non passava nessuno. La Fiorentina dilagava a San Siro, e comandava la classifica giocandosi il primato fino alla fine del girone d’andata. Un semestre di pura euforia. Una base considerata ottima per ripartire con un percorso considerato replicabile dalla società viola. Che su quella base ha continuato a puntare rinunciando alla rifondazione. Con il solo correttivo di un’infornata di alternative migliori e un comparto sportivo più forte con l’inserimento di Pantaleo Corvino e l’allontanamento di Daniele Pradè. Un copia e incolla, che tuttavia, non sta dando i suoi frutti. Anzi. Quel semestre dove Firenze ha comandato rischia di sortire l’effetto esattamente opposto, ovvero di rimanere prigioniera di quanto fatto di buono da fine agosto a gennaio dello scorso anno.
Svuotata di motivazioni, spenta. Così appare la Fiorentina 2016-17, così come lo era stata quella della parte finale della scorsa stagione. La vera chiave sembra stare solo e soltanto lì. Perché è vero che gli interpreti sono praticamente gli stessi. Così come che chi la buttava dentro al primo tocco o quasi come Kalinic quest’anno spesso neanche la struscia, così come che Badelj-Vecino non girano come ad inizio della scorsa stagione, così come che Bernardeschi è solo lontano parente di se stesso. Ma che non si riesca a trovare il bandolo della matassa dopo 10 mesi di non calcio risulta allo stesso tempo difficile da pensare. La Fiorentina continua a ribadire fiducia nel lavoro di Paulo Sousa. Ma la sua panchina vacilla. Perché non preoccupano soltanto i risultati, ma soprattutto atteggiamento e gioco di questa squadra. Che un anno fa divertiva e concretizzava, e che adesso annoia e non segna neanche per sbaglio. Liberec e Cagliari diranno di più. Se da dentro non arriva la scossa è probabile che arrivi da fuori. Il rischio che a novembre la stagione viola sia già finita è concreto. E c’è anche chi inizia ad aver paura. Spazzare via nubi e paure toccherà alla Fiorentina stessa. A cominciare da Paulo Sousa. Altri passi falsi non sono ammessi.

Di
Gianluca Bigiotti