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Prandelli e l’addio di un uomo più solo di quel che si credeva. Altro terremoto in casa Fiorentina: torna Iachini, la squadra non ha più alibi

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Prandelli lascia, ma i problemi non sono solo le pressioni esterne. La squadra lo ha ‘scaricato’, ora dimostri un briciolo di professionalità

È finita così, come in pochi si aspettavano. Si dirà che i segnali c’erano, che la stanchezza sul volto e nelle parole (o nelle non parole del post Milan) erano chiaro indice di ciò che si è verificato ieri. La realtà è che nessuno si aspettava che Cesare Prandelli potesse rassegnare le dimissioni da allenatore della Fiorentina.

Della questione umana, la più importante, si è già detto e si dirà tanto. Troppo l’amore per la Fiorentina, troppo il peso delle pressioni che ha sfiancato il tecnico gigliato. Ma non solo. Non può essere solo questo. Il peso dell’essere tifoso, della responsabilità nei confronti di una città che ama, ha certamente posto in forte ascesa la seconda avventura di Prandelli coi colori viola. Ma credere che il dolore e lo stress che hanno portato Prandelli a lasciare derivino solo ciò che è successo fuori dal mondo Fiorentina appare oggi alquanto miope.

Il calcio in cui ormai non si riconosce più l’ex mister gigliato non può essere solo quello della stampa pressante (neanche troppo, visto l’affetto che lega tanti colleghi fiorentini al tecnico di Orzinuovi), dell’ambiente depresso dai risultati ma sempre molto esigente, e della sgradevole novità dell’ultra esposizione mediatica tramite i social network.

Qualcosa dentro quel centro sportivo si è rotto. Qualcosa di grande. Al momento l’unico ringraziamento a Prandelli è arrivato da Vlahovic. E non poteva essere altrimenti, visto quello che ha fatto Cesare per il giovane centravanti serbo. Perché nessun altro calciatore si è precipitato a ringraziare il mister sui social con le solite frasi di circostanza? Magari questi messaggi arriveranno, ma il fatto che finora nessuno, Vlahovic a parte, si sia preso la briga di salutare il mister è un chiaro segnale di un rapporto tutt’altro che idilliaco.

Eppure, nonostante le difficoltà, la squadra Cesare sembrava avercela in mano. Una squadra tremendamente incostante nelle prestazioni e nei risultati, che arrivava però da un 1-4 a Benevento e da una sconfitta a testa alta contro il Milan secondo in classifica. Com’è andata davvero non lo sapremo mai, ma gli indizi ci dicono che tra allenatore, squadra e società non tutto era rosa e fiori.

Ci sarà tanto da discutere sull’operato della società. Sulle tante scelte di giocatori e allenatori rivelatasi sbagliate. Sulle strategie comunicative alquanto bizzarre e umorali. Su quanto l’appeal intorno alla Fiorentina stia scendendo drasticamente di giorno in giorno. Di questo si parlerà, e tanto, a fine stagione o, ci si augura, a salvezza acquisita. Ma ora c’è da concentrarsi su dieci partite e una retrocessione da evitare.

Perché oltre all’aspetto umano della vicenda Prandelli ci sono le conseguenze sul lato sportivo. Un capitolo ancora tutto da scrivere e che ora si complica ulteriormente in una stagione mai stata facile. E allora ecco che ritorna Iachini, sicuramente meno entusiasta di quando succedette a Montella nel dicembre del 2019. Ancora una volta Beppe dovrà fare ciò per cui è famoso: salvare una squadra in difficoltà. Sette punti di distanza dalla terzultima non sono pochi, ma non è neanche un margine di assoluta sicurezza.

Ironia della sorte, quando venne esonerato si aveva l’impressione che Iachini non avesse più in mano la squadra. Alla fine sembra fosse invece il suo successore ad avere problemi nel rapportarsi con lo spogliatoio. Un girone dopo, Iachini ritrova una squadra che di squadra ha ben poco. Una squadra piena di giocatori con la valigia in mano da mesi. Una squadra che abbandona il suo comandante senza rivolgergli mezza parola di ringraziamento.

Gli alibi però sono finiti: qui c’è da salvarsi e nient’altro. Lasciando tutto ciò che si ha sul campo. Non ci sono più allenatori su cui scaricare le colpe, c’è solo da rimboccarsi le maniche. Se non per attaccamento alla maglia, se non per Firenze, perlomeno per professionalità. Sebbene i principali problemi degli ultimi anni della Fiorentina non possono che derivare da molteplici scelte societarie rivelatesi errate, resta un fatto inequivocabile: questa squadra ha i numeri (e gli stipendi) per salvarsi tranquillamente. Che ognuno faccia ciò per cui è pagato, poi a giugno in tanti potranno finalmente partire. Di questo ‘gruppo’ sembra difficile salvare qualcosa.

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