La cornice, il contesto, il background erano quelli giusti: L’eleganza di Pitti, una Firenze che per un mese l’anno diventa capitale della Moda e del mondo dell’estetica, lo chic che si mescola con tendenze antiche e moderne non potevano essere lo scenario migliore per il ritorno di Roberto Baggio a Firenze e, ancora di più, per uno scambio-incontro- abbraccio con Giancarlo Antognoni.
Allo stand della Diadora più che un momento amarcord da vivere con i lucciconi e con i brividi per i tifosi viola si è consumato un elogio all’essenza del numero 10, quello che nel calcio di una volta equivaleva al talento, all’estro, all’imprevedibilità. Quello a cui ti legavi per alimentare speranze, quello per cui eri pronto a scendere in piazza, a protestare o a trattenere il fiato in caso di infortunio grave su un terreno di gioco. Il Numero 10, nel calcio di una volta, era tutto ciò che serviva a far sognare e andare oltre la razionalità. Quella razionalità e quella classe che, secondo un fil rouge, una trade union tra passato e presente, oggi incarna o prova a incarnare sulle sue spalle Federico Bernardeschi, il volto copertina, la nota forse più positiva della stagione viola.
Ed ecco che l’endorcement del divin codino al talento di Carrara (“Mi auguro che faccia meglio di me alla fine ci vuole poco, ha grandissime qualità e tutto il tempo per poter migliorare“) rappresentano una musica, uno stimolo, una carica per Federico, per essere ancora più protagonista e leader di una Fiorentina in cerca di una identità, di uno scossone, di uno scatto di entusiasmo in una stagione spesso troppo algida e fredda come le temperature polari di questi giorni.
Una scossa che ha nella sfida con il Chievo il suo crocevia più importante, la sua giusta occasione. Un po’ perché per 90′ minuti tutti sentiamo il bisogno di mettere da parte le polemiche, il mercato e i rumours che ovattano e circoscrivano la scena fiorentina. Di tornare, in poche parole, a quel calcio giocato di cui sentiamo la mancanza. Un po’ perché la partita con il Carpi e quell’addio sciagurato alla manifestazione dello scorso anno gridano ancora vendetta. Un po’ perché, e non è retorica, la Coppa Italia rappresenta un obiettivo, forse l’obiettivo più appetibile per la Fiorentina a caccia di un trofeo, come sottolineato dai dirigenti e ribadito dai vertici e dalla proprietà.
Così in un Franchi semi-deserto visto l’orario improponibile il primo dentro o fuori dell’anno servirà per capire se il 2016 è lasciato alle spalle, sia in termini di approccio, sia in termini di interpretazione e continuità nell’arco di tutta la partita, sia soprattutto in termini di risultati.
Infine due battute su Kalinic, la cui situazione è molto simile all’inizio del classico gioco dello Shanghai, giusto per rimanere nella stessa zona geografica: Il Tianjin ha fatto la sua mossa, la sua offerta.
La Fiorentina aspetta, forte o debole a seconda dei punti di vista della sua clausola.
Il giocatore vacilla, incerto, ancora, se accettare o meno questa destinazione esotica, calcisticamente parlando, ma estremamente soddisfacente da un punto di vista economico.
Di
Duccio Mazzoni