Lui lo sa bene che questo è l’anno “vero”, quello in cui il suo lavoro verrà giudicato dal campo, senza più alibi, senza più quei silenzi tipici dei cosiddetti anni di transizione, quando dici che l’obiettivo è essere competitivi.
Sì, ma per cosa, esattamente? No, è finito il tempo dei traguardi indefiniti. Stefano Pioli è carico.
Molto. Perchè come ogni allenatore che si rispetti lui pensa a quello: al campo, alle sue regole umane e tecniche, a ciò che di buono ha costruito e a quello che c’è da migliorare.
Che non è poco. Lui, insieme agli altri, è tornato al lavoro a Moena, quello che un anno fa aveva definito «il miglior ritiro della mia lunga carriera». Le strutture, l’ospitalità, il clima di serenità che si respira intorno.
L’ATTESA DI NOTIZIE DAL MERCATO. Il tecnico e i suoi uomini sono ottimisti. Saranno anche questi giorni intrappolati dagli affari di mercato: le voci, le partenze, gli arrivi possibili, impossibili, probabili, reali. E se Pioli a tutto questo ci sta dietro aspettando notizie dai turbo mercanti da una parte e dal numero uno assoluto quando ha la fortuna di parlarci (fu lui un anno fa a fargli avere due terzini e un centrale di piede destro), il suo interesse primario adesso è quello di raccogliere i frutti di un anno impossibile e ripartire dalle cose buone fatte, che non sono così poche, tenendo conto della surrealtà in cui è vissuta la Fiorentina dal 4 marzo in poi.
C’è Giovanni Simeone, attaccante in cui il tecnico ha creduto anche quando non era facile crederci. Settimane di vuoto, sotto la garra niente. Poi il ragazzo è rinato insieme a una squadra ferita. E in quei giorni di sicuro la Fiorentina ha avuto l’allenatore giusto nel momento giusto.
UN UOMO DAL GRANDE CUORE. Serviva un uomo lontano da pericolose egopatie e amene vanità. Serviva il cuore: quello che non ha paura di piangere e nè tanto meno di lottare. Certo che andare al campo non era facile per nessuno, soprattutto per chi era destinato, per ruolo e vocazione, ad essere punto di riferimento del gruppo.
Quante voci ha ascoltato, Pioli, quante lacrime ha visto scendere su quei visi ragazzini. Eppure quella Fiorentina dilaniata e messa insieme senza molto senso qualche virtù, oltre alla testardaggine di chi ha un amico da onorare, ce l’aveva e il “normal one” ha messo la sua impronta.
Nel saper sfruttare Veretout nel mondo migliore, rilanciando un centrocampista scomparso dai radar dopo aver stupito tutti appena ventenne. E poi Biraghi, altro talento perduto nella provincia della provincia. Lui che quando era all’Inter sembrava chissà che.
Da difensore a difensore: qualcosa di importante Pioli ha insegnato a un ragazzo che comunque, pur non essendo un fenomeno, ha lottato per crescere con la maglia della Fiorentina addosso. E poi? Beh, il tempo giusto per lanciare il difensore più forte in prospettiva, quello freddo e senza paura: Milenkovic, un po’ centrale e un po’ terzino all’occorrenza.
Ci sta che ci stia lui a destra, se dal mercato non arriva nessuno. E adesso? Adesso c’è da lavorare, capire i giovani che possono restare e quelli che se ne andranno in prestito. Sperare che i nuovi arrivino presto e non a metà agosto, capire se Vlahovic può davvero fare il vice Simeone oppure se, considerata anche la probabile Europa, qualche uomo di esperienza per la panchina può fare comodo.
C’è da osservare, valutare, decidere. E, come sempre, aspettare rinforzi e salutare quelli che se ne andranno.
CHE STAGIONE SARA’?Ma l’anno di transizione è passato, ora si fa sul serio e anche se al momento poco è realmente cambiato, alla fine cambierà per forza, perchè Pioli è educato e rispettoso ma non ama certo passare per uno yes man senza se e senza ma.
Lui ha davanti un anno di contratto (a giugno scadrà) e la possibilità di fare il suo mezzo miracolo: quello di riportare i fiorentini al Franchi, perchè la fuga dallo stadio e l’assenza dai media sono sintomi di un distacco in parte voluto da qualche dirigente per cui conta solo incassare. Ma Pioli a calcio ci ha giocato e sa che le cose non funzionano così.
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Redazione LaViola.it