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Rassegna Stampa

Perché Firenze non ha più scudetti? Al top negli sport, ma…

l caso è singolare e crea qualche imbarazzo. Esiste una città che primeggia a livello nazionale per indice di sportività e che allo stesso tempo risulta tra le meno vincenti degli ultimi decenni. Esiste un fertile territorio dove si coltivano passioni agonistiche miste a politiche di sostegno, e che tuttavia non riesce a esprimere club di successo nelle maggiori discipline. È quanto accade a Firenze: culla dell’arte, vetrina per il turismo, intrigante set cinematografico ma anche scantinato di polverosi allori sportivi.

Il paradosso tutto gigliato prende corpo con i dati della ricerca che il gruppo Clas realizza annualmente per Il Sole 24 Ore al fine di misurare — tramite la combinazione di 30 parametri, comprensivi dei risultati agonistici individuali e di squadra — gli indici di sportività delle città italiane. All’interno di questo scenario complesso e frastagliato, Firenze (con la sua provincia) recita un ruolo da protagonista: dopo aver conquistato il primato nel 2008, ha bissato il titolo di città più sportiva d’Italia nel 2015 e ha chiuso al terzo posto la graduatoria 2016, alle spalle di Genova e Trento.

Ad assicurare a Firenze una posizione privilegiata nel panorama nazionale sono alcuni indicatori positivi che arrivano da impiantistica (1.170 strutture funzionanti), tesserati (82.282), società sportive (un totale di 2.929 affiliate a 45 federazioni e a 19 discipline associate), ma soprattutto dall’attività degli enti di promozione (15) e dal turismo sportivo, un vettore in parte correlato all’organizzazione di manifestazioni internazionali (ricordiamo su tutti i Mondiali di ciclismo del 2013 e le Final Six di volley del 2014, oltre agli eventi low-cost dal forte richiamo internazionale, come la classica Firenze Marathon).

I dati sembrerebbero dunque offrire un messaggio incoraggiante. E testimonierebbero come nel capoluogo toscano si sviluppi un’intensa attività agonistica e promozionale, che se da un lato viene supportata dalla componente volontaristica tipica della Toscana (terzo posto nel ranking nazionale per regioni), dall’altro trova perfino una parziale effervescenza nelle massime divisioni con 3 club nella serie A di calcio (Empoli e Fiorentina, quest’ultima sia a livello maschile che femminile), 3 nella pallanuoto (tra Rari Nantes e Firenze Pallanuoto), 2 nella massima divisione di volley femminile (San Casciano e Scandicci), uno rispettivamente nella pallamano (Tavarnelle), nel rugby (I Medicei) e nel tennis (Ct Firenze, che dal prossimo anno tornerà a disputare la serie A/2 maschile). Nonostante l’assenza ormai cronicizzata di volley e basket maschili dai maggiori palcoscenici (rispettivamente dal 1987 e dal 1993), Firenze potrebbe ancora vantare un solido potenziale per avere un ruolo da protagonista nella scena sportiva italiana.

E invece questa città produttrice a modo suo di sport, non sembra più conoscere la parola vittoria. L’ultimo vero trionfo del calcio risale al 1969 (scudetto della Fiorentina), l’ultimo della pallavolo al 1976 (con la Valdagna Scandicci), l’ultimo della pallanuoto nel 2007 con la vittoria delle ragazze della Fiorentina Waterpolo, un club capace di interrompere la straripante egemonia dell’Orizzonte Catania (15 scudetti) prima di dichiarare fallimento. Troppo poco per definire Firenze regina dello sport, soprattutto se certi exploit — sporadici e dilatati in un arco temporale di quasi 50 anni — vengono confrontati con quelli delle due concorrenti da podio nella graduatoria del gruppo Clas: Genova può esibire una striscia aperta di 11 scudetti filati con la pallanuoto targata Pro Recco e uno scudetto 2014 nel tennis femminile; Trento 4 titoli nella pallavolo maschile dal 2007 ad oggi: Macerata, «bronzo» dell’indagine 2015, 3 successi sempre nel volley maschile, a partire dal 2006.

Firenze respira sport, pratica sport, si affascina di sport e concima con lo sport il tessuto sociale, ma non si eleva dalla mediocrità quando si tratta di fare i conti con i risultati di vertice. «Senza la lettura dei dati emersi dall’indagine Clas, avrei detto che questa città occupa la posizione numero 300 in Italia, altro che la prima o la terza — ironizza Gianni De Magistris, ex pallanuotista della Rari Nantes con 388 presenze in azzurro e cinque partecipazioni ai Giochi — a Firenze manca una cultura sportiva, manca una classe dirigente che abbia saputo rinnovarsi, mancano managerialità, mancano adeguate forme di investimento e di supporto. Lo scenario è allarmante e desolante, non degno di questa città. Quando le società cercano finanziamenti sembrano un branco di iene affamate che si gettano sopra un osso. E gli aiuti non arrivano quasi mai. Ripeto, una buona parte della responsabilità è dei club. Un’altra buona parte delle istituzioni, perché non si può pensare che tramite lo sport sociale sia possibile favorire i successi del professionismo. Avviene il contrario, ovvero è con i successi professionistici che si alimentano i numeri dello sport sociale. E poi mi chiedo: è davvero necessario organizzare grandi eventi sportivi internazionali per far conoscere la città ai turisti?». In effetti, c’è quasi l’impressione che Firenze prediliga la ricerca di un gusto estetico dello sport: un atteggiamento che invece di innescare circoli virtuosi di eccellenze locali, rischia di esaurirsi in forme di spettacolarizzazione fini a se stesse.

«Se osserviamo la storia di Firenze ci accorgiamo che questa è una città alla quale non è mai interessato vincere — provoca Claudio Nassi, ex direttore sportivo della Fiorentina ed ex procuratore, munito di lente a 360° sullo sport — semmai Firenze si è preoccupata di avere il talento, un putto sportivo da venerare, da mostrare come orgoglio cittadino. Certo, le vittorie ci sono state, ma in quelle occasioni chi era alla guida dei club? Presidenti competenti, che conoscevano lo sport, che dedicavano la vita allo sport, che tessevano rapporti autorevoli con la politica, che sapevano quali ambienti frequentare. C’era un collante essenziale che non esiste più». Se le vittorie di club sono solo un ricordo lontano, non va molto meglio a livello di discipline individuali. Ai recenti successi di spessore internazionale di Niccolò Campriani (tiro a segno), Gabriele Rossetti (tiro a volo), Rachele Bruni (nuoto), Marta Pagnini (ginnastica ritmica) — tutti campioni ormai slegati dal contesto agonistico locale, così come il pugile «fiorentino d’Africa» Leonard Bundu, campione europeo dei pesi welter — si oppone la totale assenza ai vertici di esponenti della scherma (addirittura dagli anni ’30 con Giorgio Bocchino), del tennis (dal 1993 con la l’ex n.79 al Mondo Marzia Grossi), del ciclismo (dalle pedalate del compianto Franco Ballerini), dell’atletica leggera (dagli olimpionici degli anni ’80 e ’90 Alessandro Andrei e Alessandro Lambruschini). «I talenti emersi dagli sport individuali possono nascere ovunque, quindi sono da considerare come un indicatore poco attendibile — conclude Gianni De Magistris — ciò che preoccupa di Firenze è la costante parabola discendente degli sport di squadra. La soluzione potrebbe arrivare da un imprenditore importante che decida di finanziare il progetto di una polisportiva, che poi rappresenta un modello associativo vincente, come già largamente dimostrato in Europa». Fino a oggi, questo profilo imprenditoriale degno di tutelare le diverse componenti cittadine è mancato. Così come negli anni è scemato il già tenue mecenatismo delle storiche famiglie fiorentine, che avrebbe potuto far rivivere i valori anni ’80 dell’imprenditoria etica applicata agli sport minori. Investire a Firenze, in settori diversi da quello del calcio maschile, diventa una scommessa improbabile, troppo insidiosa per le nuove variabili di rischio annidate in progetti a lungo termine. Lo testimonia il caso dell’Isolotto calcio a cinque femminile, finalista scudetto nella serie A Elite 2015/16 e già scomparso, anch’esso, dalla scena nazionale.

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