La storia del Leicester, forse, sarà l’unica favola del calcio moderno. Ai meno giovani torna sempre in mente la Fiorentina Yè-Yè, ma quello era un altro calcio. Un’altra epoca. Dove forse sognare era un po’ più facile ed il denaro non la faceva ancora troppo da padrone. C’è chi, da guru del mondo Fiorentina e che oggi purtroppo non è più con noi, diceva: “Ogni prima partita di campionato io parto per sognare che la Fiorentina vinca lo scudetto. Altrimenti che si va allo stadio a fare?”. I più lo avranno riconosciuto.
Ma se non sogni che senso ha il gioco del calcio? Perché un tifoso dovrebbe allora ritrovarsi l’acqua anche nelle parti intime dopo un diluvio universale come quello che ha caratterizzato Fiorentina-Crotone? Perché dovrebbe prendere e farsi centinaia di chilometri in posti improbabili per sapere già che la Fiorentina non vuole sognare? Essere realisti ok, non dare illusioni, tutto giustissimo. Ma il sogno Paulo Sousa non può toglierlo a chi per questa maglia investe tempo, denaro, problemi con la giustizia, e soprattutto difende una fede. Non può toglierselo, no.
Perché forse è proprio il sogno e l’ambizione che ha messo il portoghese in quei primi sei mesi di avventura fiorentina che ha permesso ad una piazza intera di sentirsi orgogliosa quanto mai di poter guardare tutti dall’alto. E comunque la si pensi su quel maledetto mercato di gennaio, ormai, non conta più. Claudio Ranieri lo ha detto in ogni singola intervista, ad ogni singola conferenza stampa: “Stiamo vivendo un sogno. E vogliamo continuare a sognare”. Certo ci sarà chi dirà che con questa società è impossibile sognare. Ma almeno ci si provi. E’ una cosa dovuta a chi ogni mattina si alza e dovrà svolgere la sua mansione su un posto di lavoro che non è un campo di calcio. Per chi un lavoro ha la fortuna di averlo. E non è demagogia. Forse più un questione di rispetto.
Di
Gianluca Bigiotti