
Inutile girarci intorno: in quel maledetto 56′ di Fiorentina-Juventus, minuto della rete di Bernardeschi, Sportiello poteva comportarsi decisamente meglio su quella punizione sì insidiosa, ma comunque diretta verso il palo del portiere e viziata da una barriera piazzata male. È lo stesso Pioli, che di solito non ama sottolineare gli errori dei suoi giocatori, a fornire la più lucida delle analisi sull’episodio: “La barriera era posizionata male, secondo me ci voleva qualche giocatore in più. Se poi Bernardeschi ci fa gol sopra la barriera, va bene”.
Evidentemente, anche il tecnico gigliato si è reso conto conto in che momento cruciale della partita la Fiorentina ha preso gol contro l’avversaria più odiata (oltre alla beffa del nome del marcatore). In una fase della partita in cui i suoi compagni stavano dando l’anima (e avrebbero continuato sino allo 0-2) per annullare le enormi differenze tecniche tra i due roster, Marco non si è fatto trovare pronto.
A certificare il momento poco positivo del portiere ex Atalanta c’è il goffo tentativo di parata sul gol di Pulgar direttamente da calcio d’angolo a Bologna e qualche incertezza nel disastro casalingo con il Verona. Tre partite negative che hanno minato la sicurezza che Sportiello sembrava aver dimostrato nel suo girone d’andata in maglia viola.
E allora, via al processo: “Sportiello non è da Fiorentina”. E ancora: “Non va riscattato a giugno, non vale quei soldi (5 milioni)”. Ma soprattutto: “Meglio Dragowski dell’italiano”. Sono in tanti, dopo la serataccia vissuta dal venticinquenne brianzolo con i bianconeri, a vedere nel polacco la soluzione del problema. D’altra parte, il giovane prelevato da Corvino nell’estate 2016, arrivava dallo Jagiellonia (in cui era già titolare) con grandi aspettative ed un costo del cartellino (3 milioni di euro) non proprio esiguo, soprattutto per una società impegnata a ripianare il famigerato “buco di bilancio”.
Nelle rarissime apparizioni in prima squadra, soprattutto nel match di Coppa Italia contro la Lazio, Dragowski ha fatto una buona figura. Quanto basta alla pubblica piazza per vederne il prototipo perfetto di un portiere titolare di Serie A. Ma siamo certi di conoscere realmente le qualità di questo ragazzo? In prima squadra, in due stagioni con la Fiorentina Dragowski ha collezionato la miseria di tre presenze (una nell’ultima giornata dello scorso campionato, due in Coppa Italia durante questa stagione); alle quali si aggiungono le otto presenze della passata stagione con la Primavera. È decisamente troppo poco per poter giudicare l’efficienza di un portiere, che oltretutto ha scritto 1997 nella carta d’identità.
Di Donnarumma non ne nascono spesso, e il ruolo del portiere è alquanto particolare. Perché se ad un giovane attaccante come Simeone si possono concedere tanti errori, ne basta uno all’estremo difensore per compromettere una partita. Di conseguenza, lanciando un portiere non pronto (mentalmente più che fisicamente) si corre il rischio di bruciare un ragazzo promettente: la parabola discendente di Scuffet dell’Udinese dovrebbe fare scuola.
In virtù di ciò, l’unica persona che ha gli strumenti e le informazioni necessarie per analizzare al meglio questa situazione è l’allenatore Stefano Pioli. Piaccia o no, è evidente che sia gli addetti ai lavori che i tifosi hanno visto troppo poco di Dragowski per poter giudicare se possa essere pronto a vestire una maglia da titolare nella prossima stagione – o addirittura in questa: ipotesi al limite del possibile, salvo un crollo psicologico di Sportiello.
Certo, la situazione del polacco in ogni modo dovrà essere studiata al meglio, onde evitare la problematica opposta, ovvero lasciare a marcire in panchina un giovane portiere molto interessante. Ma la palla, giustamente, resta in mano al tecnico gigliato, che in estate dovrà fornire le sue indicazioni e decidere se puntare ancora sull’italiano classe 1992 o virare verso il polacco. Da non dimenticare, tuttavia, che Sportiello fin qui si era distinto per un campionato positivo. La novità ha sempre un certo fascino, ma attenzione a non perdere certezze acquisite in una stagione, non in tre partite.

Di
Marco Zanini