Le dichiarazioni del difensore spagnolo sulla propria carriera tra Spagna, Olanda, Inghilterra e Brasile
Il difensore della Fiorentina, Pablo Marí ha ripercorso alcune tappe della sua carriera a Fox Deportes: “Giocare in 5 campionati mi ha dato esperienza e leadership, ho avuto l’opportunità di avere grandi compagni, leader, allenatori, avversari e modi di giocare diversi tra loro. Credo che al giorno d’oggi sia più facile per me capire il gioco e giocare a calcio: questo è dovuto all’aver cambiato tanti Paesi”.
INIZI. “Da quando ero bambino il pallone ha fatto parte della mia vita, amavo giocare al parco con gli amici oppure chiedevo a mio padre di restare a giocare con me. Volevo giocare in ogni momento del giorno. A 5-6 anni mio padre mi ha portato alla squadra del mio paese, ma io mi vergognavo, volevo giocare nel parco con gli amici. Una volta che mi sono messo gli scarpini però è stato amore a prima vista. Dopo il primo anno all’Almussafes sono passato al Valencia. I miei genitori facevano 45 minuti di macchina per portarmi agli allenamenti… Erano sacrifici molto grandi per loro. Ho fatto 5 anni nel Valencia, poi quando si giocava a 11 il Valencia mi ha lasciato libero e sono andato al Levante, un buon club. Studiavo al mattino e mi allenavo la sera, uscivo da scuola e andavo agli allenamenti, sempre grazie ai miei genitori”.
INFORTUNIO ALL’ANCA. “A 13 anni ho avuto un infortunio importante all’anca, perché sono cresciuto in maniera rapida. Ero un giocatore alto, ma in un anno sono cresciuto 12 cm. Giocavo una partita e stavo 6-7 mesi fuori, ed è stato così per un anno e mezzo. I miei genitori erano più preoccupati di me. I dottori mi dicevano che fino a che non avrei terminato la crescita non potevano farmi trattamenti. L’ultima volta che mi sono infortunato, ero in macchina e dissi a mio padre che sarebbe stata l’ultima volta: “Se succederà un’altra volta lascerò il calcio”‘. L’estate successiva avevo 13 anni e sono passato al Maiorca, c’era anche l’Osasuna. I miei genitori erano d’accordo”.
DAL TARRAGONA AL CITY. “Al Tarragona ho fatto 3 anni fantastici, lì ho conosciuto mia moglie Veronica, poi mi ha comprato il Manchester City che mi ha lasciato in prestito al Girona. Al Girona è stato un anno molto difficile perché non ho giocato. Lì ho imparato la ricompensa che dà il lavoro. Quando uno non gioca pensa che il mister non lo vuole, che non sono all’altezza…Così ho imparato davanti a queste circostanze che più lavori e meno dubbi hai: quando fai il massimo per giocare, se poi l’allenatore non ti mette non dipende solo da te. Da lì ho imparato a pensare così anche nella vita di tutti i giorni”.
NAC BREDA. “Dopo un anno senza giocare al Girona, il City Group mi ha proposto di andare in Olanda al Nac Breda che era la squadra più giovane di tutta Europa. E’ stata un’esperienza molto bella. Io parlavo inglese in maniera scolastica e dopo 4 giorni l’allenatore mi ha detto: “Ti voglio fare capitano della squadra. Ho visto cose in te che non hanno gli altri”. Io gli risposi di no, che sarebbe stata una mancanza di rispetto e poi non sapevo comunicare bene, ma l’allenatore ha insistito e mi diede la fascia. Ho imparato a comandare e ad essere un buon compagno, non un rivale rispetto anche agli altri giocatori più esperti. Io aiuto i compagni, il mister, mi piace comportarmi così perché voglio raggiungere gli obiettivi e sono uno ambizioso. Questo non lo posso evitare e credo che hanno visto ciò quando sono arrivato a Breda. L’anno successivo sono tornato in Spagna, al Deportivo La Coruna e abbiamo perso la finale playoff contro il Maiorca”.
FLAMENGO E ARSENAL. “L’estate successiva c’era un interesse del Maiorca che era stato promosso, ma non c’era l’offerta. Una notte ero a letto e mi chiamarono dal Brasile, era il direttore dello scouting del Flamengo. Pensavo fosse una bugia, così lo dissi al mio agente e lui in 5 minuti mi richiamò dicendomi che il Flamengo mi voleva. Era sabato e lunedì ho firmato il contratto a Siviglia. Il cambio di continente mi faceva un po’ pensare. I giocatori di solito si trasferiscono dal Sud America all’Europa e non il contrario. C’era tanta incertezza nella mia testa. Parlai con il mio agente e mi disse che mi volevano in tutti i modi per vincere il campionato. C’erano David Luiz, Gabigol, Rodrigo Caio, Felipe Luis, Bruno Henrique, Arao, Gerson…Era un equipazo e io mi chiedevo se ero all’altezza, ma il mister e i compagni mi accolsero bene e mi adattai molto bene. Lì sono esploso e in 6 mesi ero diventato il miglior centrale del campionato. Abbiamo perso contro il Liverpool in finale del Mondiale per Club. A gennaio mi chiama il mio agente per dirmi che aveva una buona opportunità, mi disse di andare il giorno dopo a Londra. Io mi sono fidato, sono con lo stesso procuratore da 12 anni e da lui ho imparato tanto. Lui non mi chiama se non c’è qualcosa di importante. Arrivo a Londra e mi dice che aveva una riunione con l’Arsenal e io sono sbiancato. Mi disse che io non ero un’opzione per loro, ma dal momento che mi avrebbero conosciuto personalmente mi avrebbero comprato. Il mio agente era molto sicuro di ciò. Durante l’incontro mi chiesero cosa rappresentava per me l’Arsenal e quali valori potevo apportare. Dopo di che io, il mio agente e il ds dell’Arsenal Edu Gaspar abbiamo preso un volo di 14 ore per andare in Brasile. Il Flamengo non voleva vendermi, avevamo vinto campionato e Libertadores e per loro ara difficile. Edu Gaspar fece un lavoro incredibile e in 3-4 giorni hanno trovato l’accordo. Viaggio a Londra, mi richiama il mio agente e mi dice che dovevo tornare in Brasile perché il presidente non mi voleva vendere. Prendo il volo, feci 36 ore di volo in 3 giorni. Il presidente mi disse di parlare anche con l’allenatore che voleva vincere di nuovo campionato e Libertadores…”.
Di
Redazione LaViola.it