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Nel nome di Nicco, morto a 17 anni: la più bella partita del portiere Galli

Giovanni Galli

Come riporta il Corriere della Sera, poi arriva quel momento. Dopo gli incontri, i gesti, le parole e i ricordi, ecco la stanchezza. Così diversa da quella che Giovanni Galli doveva affrontare da portiere della Nazionale, del Milan di Sacchi, del Napoli di Maradona, della sua Fiorentina: «Era una stanchezza fisica, perché Anna e io eravamo reduci da quattro-cinque eventi di fila. Ma soprattutto mentale, perché il percorso che affrontiamo a volte è forte, duro. Di sofferenza».

Fermi a chiacchierare con un amico su un marciapiede di Firenze, Galli viene avvicinato da una giovane coppia, con un passeggino. Nella città dove Giovanni è di casa da sempre, quella che sta per arrivare non è una delle tante richieste di selfie. Ma una testimonianza: «Nostro figlio è nato con una sofferenza al parto e per sei mesi è rimasto ricoverato nella stanza che la fondazione Niccolò Galli ha donato all’ospedale Meyer. La volevamo ringraziare di cuore». Così in un attimo la stanchezza vola via e il cammino di Giovanni, della moglie Anna e delle figlie Camilla e Carolina, riprende forza.

Nel nome di Nicco, morto il 9 febbraio 2001 in un incidente con il motorino, a 17 anni, mentre tornava a casa a studiare dopo l’allenamento col Bologna, la squadra con la quale aveva già esordito in serie A. «Con quell’incontro casuale sul marciapiede di Firenze siamo stati di nuovo richiamati all’ordine, dall’alto c’è arrivato un messaggio chiaro. Eravamo in crisi, ma non c’è stato il tempo di pensarci. Io so che Niccolò è orgoglioso di quello che stiamo facendo e di tutti quelli che continuano a darci il loro sostegno. La morale di tutto quello che riusciamo a fare è semplice e potente: è un inno alla vita in tutte le sue forme, con il quale cerchiamo di alimentare la speranza perché tanti bambini e ragazzi possano migliorare la qualità della loro vita».

La Fondazione che porta il nome di Niccolò è letteralmente a conduzione familiare. Anna si occupa della contabilità e dell’organizzazione, Giovanni si definisce in maniera un po’ riduttiva il «testimonial», mentre le due figlie custodiscono il patrimonio di giovani amici del fratello, che si è arricchito in questi 17 anni «perché adesso tanti di quei ragazzi hanno messo su famiglia, portano i loro bimbi piccoli, vengono anche dall’estero, non mancano mai. Ed è sempre una gioia riabbracciarli». Così tra uno spritz e una grigliata, tra una partita di burraco e un torneo di calcio, la raccolta fondi da destinare a iniziative di beneficenza non si ferma mai: la Fondazione — che sul suo sito Niccoclub.it, mostra tutte le entrate e le uscite in tempo reale — ha superato quota 2,5 milioni di euro di denaro raccolto e sempre reinvestito in decine e decine di iniziative diverse. Una parte importante la svolge anche il mondo del pallone, che non ha mai dimenticato Niccolò: «Nella lista dei donatori ci sono tante persone del calcio, assieme ad altre che vogliono restare anonime. Tutte le volte che ho chiesto disponibilità per il nostro torneo di maggio nessuno si è mai tirato indietro. Maradona è venuto apposta da Buenos Aires: su di lui si è detto di tutto, soprattutto sul personaggio. Ma Diego è un uomo generoso. La Fondazione in tanti casi è diventata un punto di riferimento per chi vuol far del bene: attraverso di noi ad esempio Christian Panucci ha donato uno dei quattro nuclei abitativi di Norcia che abbiamo comprato di recente».

La domanda che resta sottotraccia forse è banale, ma è anche naturale: come si fa a costruire tutto questo sulle fondamenta del dolore più grande? «Perché – dice Giovanni – era giusto farlo. Quando un figlio se ne va, o smetti di camminare oppure te lo riprendi sulle spalle e inizi un nuovo cammino. È un viaggio che dobbiamo fare, perché ogni nostro sogno che non osiamo vivere impedirà che la sua presenza rimanga viva. E ogni speranza che noi neghiamo a noi stessi, priverà gli altri della speranza». Quello della famiglia Galli è anche un cammino di Fede. Ed è difficile non pensare a certi segni del destino anche nella nascita della Fondazione: «Una settimana dopo la morte di Nicco, uno dei ragazzi del Bologna che viveva assieme a lui, Enrico Spanarello, ha avuto un incidente stradale grave e ha perso l’uso delle gambe. Camilla, la sorella maggiore di Nicco, ebbe l’idea di organizzare delle manifestazioni, degli aperitivi per raccogliere dei soldi destinati alle cure di Enrico. Da lì è cominciata una nuova storia. Legata a doppio filo al mondo dello sport, ma non solo. Ci arrivò la segnalazione di un ragazzo, Marco, investito da un auto pirata e ritrovato la mattina dopo in gravi condizioni. Con la Fondazione siamo riusciti a pagargli le cure migliori per la riabilitazione in Austria e Svizzera. Un anno dopo abbiamo ricevuto una telefonata ed era lui, che pur parlando ancora a fatica, riusciva a ringraziarci. Oggi vive quasi in autonomia, disegna, suona. È stato quasi un miracolo».

Dal centro sportivo del Bologna intitolato a Niccolò, al parco giochi inclusivo (quindi accessibile anche per i bambini con disabilità) appena inaugurato vicino allo stadio di Firenze. Dal campo di calcio di Bamako, Mali, nel centro di accoglienza per ragazzi di strada creato dalle suore ausiliatrici di Don Bosco, fino alle carrozzine speciali per giocare a basket donate alla Briantea di Monza. Quella della Niccolò Galli onlus è diventata una presenza capillare, forse poco visibile per il grande pubblico — che magari non sa nemmeno che uno dei più forti attaccanti italiani, Fabio Quagliarella della Sampdoria gioca con il numero 27 in ricordo del suo amico Nicco — ma assolutamente concreta nel tentativo quotidiano di migliorare la vita delle persone più svantaggiate: «Tutte le donazioni che riceviamo, che siano di 10 o di 100 euro, hanno lo stesso valore. Ognuno dà quello che può dare», sottolinea Giovanni, con il garbo e l’eleganza che aveva anche in campo: «Celebriamo ciò che sta dentro di noi, dentro la Vita. Tanto dentro che va oltre, tanto da credere che Niccolò c’è e sta in mezzo a noi, anche se fisicamente non lo vediamo più. I segni ci parlano di lui sono tanti». E si portano via tutta la stanchezza del mondo.

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