Cercato, riscattato, atteso: l’islandese non ha mai convinto a pieno in maglia viola
Aspettando Godot. E’ un po’ così, la Fiorentina. Aspetta e spera. Aspetta e non vince. Aspetta e scivola. Quasi senza rendersi conto, scrive La Nazione, che il tempo passa e le sta succhiando energie vitali per una risalita che non può più essere rimandata. E queste speranze, non tutte, per carità, ma buona parte sì, sono legate al rendimento del protagonista, in salsa viola, dell’opera teatrale di Samuel Becket: Albert Gudmundsson.
Stavolta neppure quei piccoli lampi di una stella che fatica a brillare, nonostante doti che restano incontrovertibili. Soprattutto quando si esibisce con addosso la casacca della sua nazionale, dove sembra quello che è: uno straordinario anarchico che si imbriglia in una logica di gioco corale. Ma con l’istinto innato di far segnare e segnare. A Firenze, però, tutto questo è un ricordo sbiadito: è passato poco più di un anno (il 22 settembre 2024), quando Albert, entrando a inizio ripresa, ribaltò la Lazio. Poi nuovamente una flessione, fino a un’altra fiammata: gol contro il Napoli, gol col Panathinaikos per i quarti di Conference League e subito dopo la rete da fuoriclasse contro la Juve. Una fiammata, appunto.
Il resto, poi è storia recente che è andata nella direzione opposta rispetto a quella sperata. Un anno complicatissimo, caratterizzato anche da una vicenda giudiziaria che è ancora in sospeso e che anche inconsciamente può non fare star tranquilli. Difficile adattarsi al 4-2-3-1 messo in piedi da Palladino che lo obbligava a stazionare in posizioni più arretrate e defilate, con anche compiti di copertura. Con il 3-5-2 meglio soprattutto da suggeritore a Kean, unica punta centrale. Soluzione ripetuta anche con Pioli, anche se, prima e dopo l’infortunio con la nazionale, il suo rendimento è stato ben al di sotto delle aspettative e delle sue qualità.
Musica completamente differente in nazionale, appunto, incastonato in un sistema che lo spinge sì laterale, ma insieme a due compagni di reparto offensivi di peso e movimento. In altre parole quasi meglio da trequartista o da sottopunta, con licenza di variare la sua posizione in mezzo al campo. Il problema, con la Fiorentina, è che questa leggerezza di gioco non ce l’hai proprio più, come l’idea di puntare l’uomo e provare a saltarlo. Rimetterlo al centro del gioco, ma deve essere per primo lui a ’darsi una mossa’. Altrimenti è inutile.
Di
Redazione LaViola.it