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Lulù Oliveira: “Rubavo la frutta per mangiare. Mi rivedo in Chiesa. Bati non mi parlava, poi…”

Le dichiarazioni dell’ex attaccante viola sui suoi inizi e sull’esperienza a Firenze

L’ex attaccante della Fiorentina, Lulù Oliveira ha parlato a Gazzetta.it: “Ho vissuto un’infanzia difficile. Eravamo in 12 sotto lo stesso tetto: sette fratelli, i figli delle zie e i miei genitori. Mia madre era un’infermiera. Mio padre un calciatore, 15 anni nella stessa squadra, poi è diventato meccanico. Ha avuto anche l’opportunità di trasferirsi in un club più grande, il Flamengo, ma il presidente non lo lasciò perché era la bandiera della squadra. Non ha guadagnato molto, ma riuscì a costruire una casa per noi, anche se era molto fragile. Quando pioveva, l’acqua entrava dappertutto. Solo i miei genitori avevano un letto. Noi dormivamo su amache appese in cucina. La difficoltà maggiore? Il cibo. Un solo pasto al giorno. C’era chi preferiva mangiare a mezzogiorno e chi, come me, a cena. Preferivo andare a dormire con la pancia piena. Durante il giorno rubavo la frutta nei giardini dei vicini: banane, papaya, mango… qualsiasi cosa per riempirmi lo stomaco”.

STUDIO.  Andavo a scuola perché era fondamentale. Ma quante ramanzine ho preso da mia madre! Tornavo sempre con l’uniforme bianca e il pantaloncino blu completamente sporchi. Saltavo le lezioni per giocare a pallone. Studiare non mi dispiaceva, ma il calcio mi attirava di più. Mia madre mi tirava per le orecchie quando scopriva le mie bugie”.

DA PORTIERE AD ATTACCANTE. In famiglia erano tutti attaccanti, a me piaceva giocare come portiere. Un giorno mio padre mi vide e mi disse: ‘Quando arrivo a casa, dobbiamo parlare’. Mi spiegò che nella nostra famiglia non c’erano portieri e dovevo togliermi quell’idea dalla testa. Una volta decisi di rimettermi tra i pali di nascosto. Mi sorprese e mi diede una bella sberla. Da quel momento capii che dovevo diventare un attaccante”.

BATISTUTA. “Lo incontrai per la prima volta in ritiro all’Hotel Grifone. Batistuta arrivò, lo chiamai per salutarlo ma non mi considerò. Sapevo della rivalità tra brasiliani e argentini, ma almeno un saluto… Lui poi era un grandissimo amico di Baiano e io ero arrivato proprio al suo posto. Dopo settimane senza parlarsi, chiesi aiuto al mister Ranieri. Volevo avere un contatto con il mio compagno di reparto, per accordarci sui movimenti in campo. Poi, un giorno, Bati mi fermò: ‘Dai, vieni, facciamo quella cosa’. Da quel momento capimmo come giocare insieme. Siamo diventati amici, per il bene nostro e della Fiorentina. Ci sentiamo tutt’oggi. Lo ha conquistato con il suo modo di fare? Ha aiutato sicuramente (ride, ndr). Facevo sempre festa perché sono brasiliano. I giorni dopo una sconfitta vedevo i miei compagni giù di morale. Facevo qualche scherzetto con Toldo, urlavo, cantavo, ballavo, facevo un po’ di cose negli spogliatoi per tirarli su. Sono sempre stato così. Ballare è fondamentale per un calciatore. Ti insegna a muovere il corpo, a spostarti con leggerezza. Se il difensore sbaglia movimento, è finito. Io lo sapevo e lo sfruttavo”.

GOL PIU’ BELLO. Una mezza rovesciata con il Cagliari proprio contro la Fiorentina, al 92°. Vittoria 2-1”.

IN CHI SI RIVEDE.  Se dovessi scegliere un giocatore moderno, direi Federico Chiesa: punta l’uomo e prova a fare tutto da solo. Anche io all’inizio pensavo così, ma in Italia ho imparato che non basta il talento, serve adattarsi”.

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