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L’ultimo applauso per il Mondo, oltre duemila tifosi battono le mani per quasi cinque minuti

PH ALBERTO MARIANI

Come riporta la Gazzetta dello Sport, spezzarsi mai. Ribellarsi sempre. Anche alla morte. Per chi crede basta il messaggio della Pasqua di Risurrezione. Ma anche chi con la Chiesa magari non va d’accordo, ieri a Rivolta d’Adda, in mezzo a 2mila cuori, colori, striscioni, fumogeni e fuochi d’artificio, tutti per Emiliano Mondonico, avrà sposato quelli che sono sempre stati i motti dell’allenatore che fece grande Cremonese, Atalanta, Torino e Fiorentina, tra A ed Europa.

Li ha accolti tutti, il Mondo, coloro che hanno voluto dirgli l’ultimo grazie. Calcio, uomini, ricordi, vip e persone normali, una scala sociale che Emiliano Mondonico, scomparso giovedì a 71 anni dopo avere lottato con la «bestia» finché ha potuto, ha abbracciato in carriera, senza mai perdere quel suo carattere assieme spiccato, a volte scontroso, ma pur sempre dall’animo aperto. Sport e gente comune: passione e dolore nazional-popolare. Rivolta d’Adda è un paese in processione: chiude l’edicola, chiude il fornaio, le botteghe, quelle dal sapore antico. Tutti in rigoroso silenzio, le uniche voci, timide, chiedono indicazioni per la Basilica di Santa Maria e San Sigismondo: dove il primo incrocio è dominato da uno striscione dei tifosi dell’Atalanta. «You’ll never walk alone», con l’inglese che offre subito il respiro europeo di quelle notti epiche e maledette con il Malines in Coppa Coppe o con l’Ajax (sponda Torino) ad Amsterdam in Uefa. Europa ostica, ma guai a spezzarsi, a non ribellarsi: «Grazie Mondo per averci fatto volare in un sogno» recita lo striscione granata.

Il sagrato, la piazza, come uno stadio: passa il feretro, sul quale si accumuleranno sciarpe di ogni fede, accarezzato con lo sguardo da Stefana, Carla, Francesca e Clara, mamma, moglie e figlie del «Mondo». Uno stadio silenzioso che si anima in quattro minuti e quaranta di applausi: l’amore non si misura col cronometro, ma il tempo è una buona unità di misura. Gli ultras atalantini, in larga maggioranza anche per la breve distanza da Bergamo, inneggiano al mister, quelli del Torino alzano la sedia, l’oggetto che rappresentò la rivoluzione del «Mondo», incompiuta sul campo ma non nel mito di quella serata olandese di pali e jella. «Alzaci la sedia, Emiliano alzaci la sedia» cantano i granata e sembra che la Maratona abbia traslocato in questo paesino del cremasco. Poi tocca ai sostenitori della Cremonese, che lo ricordano come «Uno di noi». Un gemellaggio ideale dove non mancano schizzi di viola Fiorentina e di celeste AlbinoLeffe.

Don Denis Feudatari, parroco di Rivolta, svela due aneddoti: i mercoledì all’oratorio per il progetto che Emiliano portava avanti con il Csi, allenando i ragazzi in lotta contro la dipendenza dall’alcol, e quella ammissione pochi giorni prima di morire, durante l’ultimo incontro col sacerdote. «È dura». «Dura concedere quel corpo col quale Mondonico, da atleta e da mister, ha dato tanto al nostro sport», ha spiegato don Feudatari, «e dura per chi ora lo saluta: ma donare quel corpo e quell’anima a Dio è un estremo atto d’amore». La convocazione arriva per tutti, ricorda il parroco, che spinge a onorare l’ultima chiamata del «Mondo». L’ultimo assist lo danno i giocatori dell’Approdo, l’ultima squadra che Emiliano allenò coniugando calcio e sociale, e i tifosi dell’Atalanta, che portano la bara poi avvolta coi vessilli nerazzurri e granata, come una staffetta, nel chilometro che separa la chiesa dal cimitero. «Grazie Mondo» singhiozzano in tanti. Il sussurro si fa urlo, per avere voce oltre i fuochi d’artificio. Un torpedone che, poco prima, aveva vissuto il momento emotivo più forte con Io vagabondo cantata in prima persona dai Nomadi, il gruppo col quale Mondonico condivise il palco nelle feste della Dea. Sì, quel bambino che giocava in un cortile (dell’oratorio di Rivolta), di strada ne ha fatta parecchia…

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