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Lui e Firenze. Perché è così dura lasciar partire il ‘sindaco’ Borja Valero

Come riporta il Corriere Fiorentino, esiste una premessa nell’affare più chiaccherato della settimana: con Borja all’Inter ci guadagnerebbero tutti. La Fiorentina, risparmiando una decina di milioni lordi d’ingaggio, lo spagnolo che si ritroverebbe in tasca 4 milioni netti in più in tre anni. Detta così nemmeno ci sarebbe da discutere. Eppure il caso Borja Valero rischia di essere lo scoglio più difficile da superare per Corvino e il presidente Cognigni. Più di Bernardeschi (che già agli occhi dei tifosi rientra nella categoria dei «dollarumma»), più di Kalinic la cui avventura fiorentina sembra naturalmente conclusa insieme a quella del suo mentore Paulo Sousa. Operazioni di mercato, quelle. Possibili milioni da investire per costruire una Fiorentina più adatta alle esigenze di Pioli. Ma quando si parla di Borja, le cose cambiano.

Perché lui è il «sindaco», sia per i tifosi che per i compagni che gli regalarono pure la fascia tricolore. Perché lo spagnolo è il simbolo (e l’ultimo rimasto) di quella Fiorentina Olé che, soprattutto nel trienno Montella, ha fatto entusiasmare come poche altre. E perché non è solo una questione di campo, con quei colpi di maestro e la capacità di tenere incollato il pallone neanche avesse una calamita. Lui è altro. Ed è comprensibile lo smarrimento di una comunità sempre alla ricerca di un simbolo e di eccezioni a un calcio che ormai vive con la valigia pronta.

Borja Valero ha sempre detto di voler restare a vita a Firenze, e con sé invece della valigia ha sempre portato il telefonino per immortalare la sua vita da fiorentino doc. Perché è così che si sente insieme alla sua famiglia. Fiorentini. In città sono quasi un’istituzione, una specie di Royal Family in salsa viola con il piccolo Alvaro nella parte di baby George e la bella Rocio Rodriguez in quelli della consorte sempre sorridente. Basta fare un giro su Instagram per farsi un’idea. C’è il Ponte Vecchio in tutte le salse, perfino sotto forma di coordinate gps tatuate sul braccio. Ci sono il Calcio Storico e lo scoppio del Carro con tanto di colombina presa in braccio, oppure la torta dell’ultimo compleanno a forma di giglio, la maglietta dei Guelfi, il braccialetto del Meyer. Ma ci sono anche i pomeriggi alle Cascine, le giornate al mare della Versilia, i giorni liberi nel Chianti o il gelato accanto allo stadio. E sono proprio quelle immagini a creare la vera empatia, a rendere il rapporto con la città così paritario, speciale e adesso così difficile da gestire, sia per la società che per il giocatore, nel momento in cui la separazione appare più probabile.

Qualcosa però si è rotto. E non da oggi. Lo scontro durante l’ultima stagione fra i dirigenti e la squadra, rimasta unita dietro l’allenatore più a parole che sul campo, ha lasciato strascichi un po’ dappertutto, avvelenando anche il pozzo della fiducia reciproca. Il finale di campionato poi, tra rimpalli di responsabilità e la certificazione dell’addio all’Europa sono stati letti dal club come figli più della mancata convinzione che di questioni tecniche.

La resa dei conti, insomma, non era più procrastinabile per provare a gettare le basi della ripartenza. Ed era impossibile che anche il rapporto fra la Fiorentina e Borja non venisse messo in discussione, con lo spagnolo ultimo reduce di un ciclo che la società reputa ormai concluso. Un azzardo, forse. E di sicuro, se la cessione dovesse essere perfezionata, Corvino si ritroverà a gestire un mercato ancora più difficile, con la consapevolezza di non aver più alcun bonus di fiducia da giocarsi. Non proprio una partenza semplice, anche per Pioli. Restare senza «sindaco» in fondo non è cosa che capita tutti giorni.

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