Stadi vecchi e lunghi processi per l’ammodernamento. Wembley è stato buttato giù, al Franchi non si può. Una ‘partita’ da 250 milioni
Per costruire il Colosseo gli antichi romani ci hanno messo meno di dieci anni. Per la cupola del Brunelleschi a Santa Maria del Fiore, invece, ne sono serviti una quindicina. Da molto più tempo a Roma e a Firenze si parla di nuovi stadi: castelli di parole e montagne di carta. Non solo lì. Negli ultimi vent’anni solo tre squadre di serie A hanno edificato nuove «case» (Juve, Sassuolo e Udinese, l’Atalanta ha avviato i lavori) contro 11 in Germania e 6 in Inghilterra, scrive il Corriere della Sera.
STADI VECCHI. Il nodo infrastrutture va sciolto in fretta, anche per migliorare la sicurezza (in attesa che i tifosi possano tornare allo stadio). I numeri sono impietosi: il 90% degli stadi italiani, inclusi quelli di B e C, sono di proprietà pubblica, mentre nella Premier League le squadre sono padrone nel 70% dei casi; il 75% dei nostri stadi risale a 70 anni fa, alla preistoria calcistica.
RITARDO. È un ritardo pesantissimo che si ripercuote sulla vendita dei diritti tv, sui ricavi dei club (solo il 15% delle entrate arriva da botteghino, contro il 38% delle squadre inglesi) sull’occupazione. Per ridurre lo squilibrio, in dieci città vanno avanti programmi di rinnovamento o di restyling, fra questi il nuovo San Siro. Sul tavolo attendono investimenti dei club per due miliardi e mezzo: potrebbero generare un indotto extra-pallone da 10 miliardi, creare 20 mila posti di lavoro, aumentare di 1,5 miliardi il gettito fiscale come è successo in Spagna e Francia.
BUROCRAZIA. Il problema, ragionano negli ambienti della serie A, è che nessun altro Paese ha così tante leggi, procedure amministrative complesse e lente, dall’esito imprevedibile. E un numero infinitamente più alto di autorità dalle quali ottenere il via libera. In Gran Bretagna sono sufficienti 21 giorni per le prime consultazioni e 4 mesi per decidere. Inoltre da noi esistono ostacoli, spesso scoraggianti, per chi ci mette i soldi, fra i quali il divieto di edilizia residenziale vicino alle strutture sportive.
FIRENZE Il caso di Firenze è emblematico. Sull’Artemio Franchi pende il vincolo dei Beni Culturali, è una delle «più importanti opere di architettura del Novecento» anche se i turisti lo ignorano. A Londra hanno demolito Wembley, qui non si può. Difficilissima l’ipotesi di restaurare il Franchi, Joe Barone, braccio destro del patron della Fiorentina Rocco Commisso, è impegnato in una partita da 250 milioni per un impianto da 42 mila posti in un’altra area della città. La sua battaglia per velocizzare il sistema coincide con quelle delle altre società: «Nonostante i progressi, restano troppe incertezze. Nel nostro caso l’ampiezza e l’indeterminatezza del vincolo culturale è eccessiva. Ma abbiamo fiducia nelle prossime iniziative a beneficio del sistema calcio e di tutti gli stadi, non solo del nostro». Anche perché la pazienza di chi arriva dagli Usa carico di aspettative non è infinita.

Di
Redazione LaViola.it