Numeri che, attenzione, non sono «drogati» dal pessimo avvio della Juve, che anzi come conclusioni fatte e concesse andava ancora meglio. Ma quando ha cominciato la serie vincente ha raddoppiato la percentuale di realizzazione: ha aggiustato la mira. E poi alla Allegri-band non serve giocare bene per vincere; nel Napoli, invece, tutto deve girare alla perfezione, sempre. E può capitare di sbagliare partita, vedi Bologna o Udine. Altro indizio: la Juve è formidabile nelle transizioni, cioè nel trasformare il contenimento – di solito perfetto – in assalto. E qui entra in gioco una delle tendenze di questo campionato.
La classifica dei recuperi palla vede in testa Magnanelli, seguito da Jorginho e Montolivo, cioè tre centrocampisti centrali (e nella top 20 ce ne sono altri sei). Con il centrocampo a tre che domina il volto tattico del torneo, ormai quasi tutti si affidano a un frangiflutti davanti alla difesa. Che sappia anche distribuire il pallone, certo, ma non il Pirlo della situazione (e se n’è accorto anche Conte che persi Marchisio e Verratti si trova praticamente senza playmaker). La conseguenza è una sparizione quasi definitiva del trequartista propriamente detto. Restano Franco Vazquez – il miglior dribblatore del campionato –, e un paio di allenatori come Giampaolo a Empoli e Maran con il Chievo che hanno puntato quasi sempre sul 4-3-1-2 (pur con qualche variante: Saponara per esempio fa più l’attaccante centrale…). Avevano cominciato con lo stesso sistema in tanti, per la verità: Mihajlovic con il Milan, costretto poi a cambiare per le stesse difficoltà che sta incontrando Brocchi, lo stesso Maurizio Sarri a Napoli, prima di percorrere la felice strada del 4-3-3.
L’evoluzione darwiniana del pallone ha portato a un nuovo tipo di «tuttocampista»: muscolare, ma bravo con i piedi e con le idee, e pure pungente vicino all’area avversaria. Il re del ruolo è Paul Pogba: 8 gol e 12 assist, più 124 conclusioni tentate (più di tutti i centrocampisti nei cinque maggiori campionati europei), 102 dribbling riusciti (secondo dietro Vazquez), 261 palloni recuperati. Della categoria fanno parte anche Hamsik, Pjanic, Nainggolan, Zielinski, Borja Valero e, perché no, Duncan, uno dei tanti interpreti del super-Sassuolo di Eusebio Di Francesco, che dopo il Napoli ha forse espresso il gioco più fluido e più «a memoria», secondo quel 4-3-3 che fa la fortuna (anche) dei terzini come Vrsaljko – miglior crossatore del campionato con 219 palloni messi in mezzo – ma anche Hysaj, Ghoulam o Mario Rui.
Dal punto di vista tattico, poche le novità di sistema ma diffusa ricerca del gioco di prima, del pressing alto (visto anche in squadre di seconda fascia come il Chievo), dell’intesa collettiva, forse il difetto maggiore dell’Inter. Mancini ha provato a impiantare il 4-2-3-1 «europeo» ma affidandosi troppo all’individualità e cambiando troppo spesso sistema e uomini. Ha cambiato benissimo invece Allegri, capace di mutare assetto tattico alla sua Juve a partita in corso e a volte anche nella stessa azione. Interessante nell’ultima parte il lavoro di Spalletti. Nell’anno del ritorno del «vero 9» (Higuain, Kalinic, Icardi) ma con un Dzeko così così, il tecnico della Roma ha esasperato il concetto di falso centravanti, allargando le punte vere e scegliendo un «libero» avanzato (Perotti) o due incursori centrali (Nainggolan e Pjanic). Insomma, il monolite bianconero fa ombra, ma dietro c’è luce.
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Redazione LaViola.it