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Montella, che fu attaccante, ha intuito: “Quando Vlahovic è partito, ho capito”. Ci sono gesti che restano. Spesso sono gol, il calcio nasce con questo obiettivo: mettere la palla nella porta altrui, difendere la propria. Lo zero a zero nell’idea dei fondatori è almeno un mezzo fallimento.
Ci sono gol, allora, che vanno trattenuti. Ricordati e quindi raccontati. Siamo ancora nella distanza coperta dall’emozione, ma è tutto così veloce, tutto così futuro che bisogna ripassare in fretta, darsi di gomito, ehi, ti racconto di Vlahovic, è successo appena quattro giorni fa, lo so.
Parte, il ragazzo. Toccando ancora dentro la metà campo difensiva il disimpegno veloce ma ragionato di Dalbert: il terzino vede sia Boateng che Vlahovic addensare la zona visivamente “servibile”: i due attaccanti, quindi, nell’ultima occasione della partita hanno la lucidità (e l’umiltà) di non scappare verso la porta ma di proporsi e aiutare l’unico passaggio possibile. E lo fanno bene: Boateng è in postura perfetta per arginare Godin, infatti riesce a far scorrere la palla senza permettere l’intervento del difensore, che goffamente finisce bocconi ed è ormai remoto all’azione. Vlahovic è in movimento, quindi ha margine (poco, ma c’è) su Skriniar, da subito. Il giovanotto di Belgrado usa questo vantaggio per orientare con due tocchi il controllo, e nascondere dietro un’ambiziosa e magnifica intenzione un primo approccio non perfetto: la volontà di fuga verso la porta è evidente, Vlahovic non è mai sfiorato dall’idea di gestire, aspettare l’inserimento dei compagni, o guardare il movimento di Boateng (comunque decisivo: avendo tagliato fuori Godin, costringe De Vrij ad arretrare verso il centro dell’area, per marcare ‘di posizione’ la sua avanzata, impedendo all’olandese di valutare il raddoppio di marcatura sulla volata di Vlahovic).
I due attaccanti, dunque, disallineano la miglior difesa del campionato, confondono il mestiere del terzetto con forza fisica e talento. E Vlahovic va. Eccolo, il puledro che galoppa senza ordini. La gioventù senza governo che avevamo sperato di vedere, un muovere disperato e spensierato che dimentica le angosce, la classifica, le voci. È l’avvento così come doveva essere: sfacciato, superbo, puro. E Vlahovic va, correndo verso qualcosa che l’istinto conosce e che lo stadio aspetta. La partita è finita ed era stata il solito accumulo di indizi conosciuti: sappiamo duellare meglio, contro le forti, liberati dal senso di vergogna di dover fare, senza saperlo fare. Ma creare occasioni è faticoso, manca genio sugli esterni, mancano coraggio e condizione nei mediani. Manca Ribery, che è proprio questo: genio, coraggio.
È come vivere un tempo inceppato, eterno: fin lì, due belle parate di Dragowski, la conferma che Pezzella restituisce un insieme logico ai compagni di reparto, la bellezza solitaria di Castrovilli, che fa progredire la partita ogni volta che tocca palla, fino all’esaurimento fisico e nervoso di un calcio difficile ma che così, senza sbocco né compagni all’altezza, non trova mai la terraferma. La partita impossibile di Chiesa, menato fino all’inutilità (come spesso si riduce per leziosità e testardaggine: ma questa volta è incolpevole).
Stava finendo, dunque, senza rivelazioni, confermando pregi e difetti e semmai complicando anche le scelte perché non era né disfatta, né arretramento, ma nemmeno punti in classifica: non c’erano dunque quegli argomenti univoci necessari per decisioni definitive che non fossero contraddittorie.
Poi parte Vlahovic. Da lontano, come uno che ha tutta la strada davanti. Solo questo ragazzone di 190 centimetri, nato nell’altro millennio, poteva convincerci che si può ancora inciampare nella felicità. Infatti va, mastica la palla ma non perde il filo del discorso, che è poesia: riduce la frase (vado da solo), tronca il finale (tiro in corsa, magari il portiere non fa in tempo a organizzare la parate, nemmeno un tuffo decente). Quando parte, l’angolo alla sinistra di Handanovic, dove tutto finirà, è lontano 60 metri. Per conservare il vantaggio su Skriniar la corsa mantiene una traiettoria lievemente decentrata, sulla sinistra, ma senza smarrire la porta. Avvicinandosi all’area, Vlahovic si protegge dal tipaccio con il braccio destro: mi ha ricordato una volata simile di tanti anni fa, Gigi Riva con Burgnich che insegue, il braccio fra i due. Il tiro, senza accorciare e misurare i passi, per non perdere il distacco con il difensore, per non avvertire il portiere. Il sinistro, incrociato, anche quello come Riva.
Sì, Vlahovic ha fatto un gol alla Gigi Riva. Non è un paragone (lasciamo stare gli Dei, sia mai che si mettano di traverso) ma solo l’accostamento di due foto lontane. Non è una profezia, solo una suggestione, un focherello, nemmeno un falò. È quel calore che serviva, quell’urlo di uno stadio con la passione soffocata, ma ancora viva. Si può costruire qualcosa se il portiere para e il centravanti segna. In Serie A, 3 mila minuti per il polacco, 720 minuti per Dusan: c’è tempo e quella corsa ne guadagna ancora un po’.
In questo pezzo di campionato nei minuti di recupero sono stati segnati 32 gol, il calcio recente (così preparato tatticamente e fisicamente) concede qualcosa nei finali stanchi, dilatati, disperati. Alla Fiorentina ha dato la cosa più preziosa, che nessuno vende perché nessuno possiede veramente: il tempo. Quello più bello, giovane e speranzoso. Quello più dolce perché all’ultima pagina cambia il senso di un romanzo triste, lasciando un finale ancora aperto. Ci sono partite che cominciano all’ultimo minuto, tutte da giocare.
Ci sono azioni che restano, perduranti ma non ancora nette, le prossime lotte scolpiranno il contorno di questa traccia ma intanto bisognava parlarne, ancora: ricordare. Come scrisse Edurardo Galeano, nei suoi abbracci letterari, “ricordare: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore”. E fermarsi un po’ lì.
 
												
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																							 
																							 
																							 
																							 
									 
									 
									 
									 
														 
														 
														
Di
Redazione LaViola.it