Marco Bucciantini, noto giornalista toscano e opinionista di SkySport, cresce con due grandi passioni: lo sport, in generale, e la Fiorentina. Da oggi inizia la sua avventura al fianco di LaViola.it per commentare, di settimana in settimana, le vicende della squadra viola
Ribery invita un compagno al tiro, e si sbraccia quando vede la rinuncia. Ribery “chiama” uno scambio nel traffico di una difesa fisica e folta: allarga le braccia quando vede il compagno preferire la strada comoda, ma che porta l’azione e la palla al punto di partenza. Ribery allora infila il suo pensiero in quel traffico, e attende, invano, che qualcuno condivida il suo lavoro per il gol.
È plateale nel lamento, e finisce per sottolineare la differenza fra lui e gli altri, a svantaggio degli altri. Gli chiediamo compassione, temendo che questa distanza provochi imbarazzi crescenti in chi non riesce ad accorciare le misure: che delicatezza.
Sbagliamo: dobbiamo pretendere gli errori, non possiamo accettare la paura di sbagliare. Un calciatore può sbagliare un tiro, non può rinunciare a tirare. Un terzino o una mezzala possono umiliare la geometria limpida di un triangolo, ma non possono sottrarsi al tentativo di sfondare la linea difensiva che hanno davanti, ancorché seria, forte, numerosa. Ci sono partite difficili che diventano proibite dalla mancanza di coraggio.
Il coraggio è un’identità bellissima. Il coraggio è l’unica emozione che si diffonde, subito, perché è riconoscibile, che raggruppa, che avvicina. Che va naturalmente dal campo verso le tribune.
La Fiorentina ha uomini coraggiosi, non solo Ribery, che fonda il suo coraggio in 15 anni di esercizi riusciti bene. Due di loro, Chiesa e Castrovilli, seppure un filino ottusi nelle ultime esibizioni, mancavano a Verona: spesso la loro necessità e il loro prezioso istinto è diventata il gioco viola, anche se l’ampiezza della formula 3-5-2 favoriva i loro duelli in verticale, dilatando le difese. Questi tre (Chiesa, Ribery e Castrovilli) e forse solo loro tre presenti insieme rendono significativo quello schema. L’estro dei loro sostituti è acerbo (Sottil), misterioso (Pedro), promettente (Vlahovic), disperso (Ghezzal): tutto possibile ma niente di rassicurante.
E allora il coraggio. Di tutti, in campo ci sono molti uomini e ognuno ha qualcosa da capire con il coraggio: fa scoprire ai campioni quali sono i loro limiti: li sposta di un metro, di un secondo. Ma il coraggio avvicina gli atleti normali ai campioni, li eleva, fa loro scoprire delle possibilità che senza il coraggio non sarebbero mai esplorate: certo, senza il talento dei campioni non sarà una conquista solida, ma lo sport è fatto di momenti, una partita è un prodotto “finito” e irripetibile: vi si può agire, aggiungere forze (e toglierle).
Il coraggio è la difesa più tenace se le cose non si realizzano come si è sperato. Se le forze avversarie sono superiori, il coraggio ti alza la testa davanti alla vittoria degli altri. Nel calcio il coraggio ha una declinazione, la personalità. Ma è già un documento riconosciuto, posseduto. C’è un’altra forma più giovanile (ma non per questo solo dei giovani) e meno posata, cosciente. Che porta a tentare un tiro o a chiudere un triangolo dalla parte difficile del campo.
Questa emozione va portata in campo. Per restare all’altro ieri, il Verona aveva coraggio, e con l’impeto nascondeva lacune tecniche, costringeva la Fiorentina a lavorare, a rimediare, a rincorrere. Il coraggio (solo quello, in alcune azioni) produceva calcio, mentre la Fiorentina finiva con Ribery, e le sue continue preghiere inascoltate.
Se mancano Castrovilli e Chiesa non può mancare la Fiorentina. Senza Chiesa, l’assalto sarà meno continuo, asfissiante, caparbio. Se manca Castrovilli la penetrazione centrale sarà meno diretta, verticale, l’inserimento senza palla meno pericoloso. Ma in area si va lo stesso. A cercare qualcosa, a dare sostanza alla partita. In campo (a centrocampo) c’erano comunque giocatori con molte partite anche europee nella memoria. E gli altri, i ragazzini, a maggior ragione devono vivere una partita spudorata, coraggiosa: hanno tutto da vincere. Se per varie ragioni che siano la gioventù, la disabitudine, il logorio (mettiamo anche che la vita abbia incrociato un gruppo di atleti tutti preoccupati) questo coraggio non abitava i cuori viola, è lavoro dell’allenatore (anche della società) distribuire questa antica e nobile forza. La personalità spesso si trova e cresce dentro un gioco, un’identità. Ma anche dentro una missione.
Questo è il vero peccato. La Fiorentina non ha ansie particolari: non ha argomenti per sentirsi proprietaria di un posto europeo, non può ricadere nell’autolesionismo cielo scorso anno sospese il tempo negli ultimi 3 mesi di campionato. È lì, per capire di che stoffa è fatta. È lì per non disperdere l’effetto creato dal cambio di proprietà, da questa natività bella, è lì per soffiare nel sogno che dopo tanto tempo ha nuovamente allineato tutti, o quasi tutti nella comunità viola. È nella condizione perfetta per rendere leggeri gli errori, non le paure. Tutto è opportunità in questa stagione.
Tramite il coraggio, conoscersi. E valutarsi. Sopra i valori, sopra la tattica, sopra gli avversari.
Intanto, non chiediamo a Ribery di capire. Il fuoriclasse non chiedeva risposte del suo stesso linguaggio: voleva solo sentire il battito dello stesso coraggioso cuore.
Di
Marco Bucciantini