Fiorentina sempre più in giù, ora l’obiettivo è chiaro. Montella ha pagato, Pradè in discussione. Ma tanti singoli hanno deluso.
C’era una stagione senza obiettivi, ‘annata di transizione’ dicevano. Adesso l’obiettivo è invece chiaro: salvezza. Il prima possibile. Per non ritrovarsi nelle sabbie mobili contro squadre abituate a ‘fare la guerra’ (sportiva, s’intende). Diciassette punti in diciassette partite, del resto, parlano da soli. Al di là di alibi, squadra giovane, costruita in 50 giorni eccetera. Che sicuramente sono attenuanti vere, così come un allenatore che non ha saputo dare gioco, identità e grinta alla sua squadra. Ma che ha pagato le tante e pesanti assenze di giocatori insostituibili. E colpe non soltanto sue.
ZONA RETROCESSIONE. Sei vittorie, sette pareggi e quattordici sconfitte in 27 partite dal suo ritorno alla Fiorentina (4 successi su 24 gare di campionato): i numeri di Montella parlano da soli e nel calcio, senza i risultati, il primo a pagare è sempre l’allenatore. Anche se le responsabilità sono da allargare (come sempre, o spesso) a dirigenza e proprietà. Compreso il fatto di difendere l’allenatore prima in estate (dando in qualche modo un segno di continuità con il passato) e poi dopo le gravi sconfitte in serie. Fino al tracollo del Franchi contro la Roma. Diciassette punti con quattro vittorie in diciassette partite, e pomeriggio di Serie A a guardare da vicino Parma-Brescia e Lecce-Bologna, con la speranza di non passare il Natale ancora più in giù del 15° posto attuale. Più vicini alla zona retrocessione.
CAMBIO E MERCATO. Ora il cambio di allenatore, con la speranza di una svolta. Ma anche con tutte le incognite che un cambio in corsa può rappresentare. Con Iachini in pole che fa capire la delicatezza del momento. E il mercato, con Pradè chiamato (stavolta con più tempo a disposizione) a rinforzare e non poco una rosa deficitaria. Già, a fine 2019 un bilancio è necessario e si nota che proprio tanti nuovi acquisti hanno fallito. Così come una strategia che aveva visto la Fiorentina puntare sul 4-3-3 tutta l’estate, salvo poi affidarsi al 3-5-2. Senza centravanti, con la ricerca di coesistenza tra due mediani come Badelj e Pulgar che non ha dato frutti.
RESPONSABILITA’ DEI GIOCATORI. In una squadra che non ha girato, con l’entusiasmo del ciclone Rocco andato scemando mano a mano, quasi tutte le soluzioni tattiche alla crisi sono naufragate. Per molti motivi. Ma è evidente che i giocatori abbiano la loro parte di responsabilità. Per non aver saputo reagire, per aver reso meno delle possibilità come gruppo e come singoli. Perché questa Fiorentina è una squadra incompleta, con una rosa effettivamente corta dietro ai titolari, ma uno per uno non sono sulla carta giocatori da 15° posto. Ma lo sono diventati con le prestazioni. E il campo alla fine non lascia troppo spazio al curriculum e al valore di mercato.
QUASI MAI DECISIVO. In tanti hanno deluso, a partire da quelli più importanti. Come Chiesa. Poco aiutato dai compagni, sì, e giova ricordare che si tratti sempre di un ragazzo di 22 anni. Ma da ‘mister 70 milioni’, il talento più ammirato e ricercato d’Italia, ci si aspettava sicuramente di più. Un’estate con la voglia di misurarsi su alti palcoscenici, la decisione ferma di Commisso di tenerla e la risposta del campo che ha consegnato un Chiesa quasi mai decisivo. Due gol in campionato, le partite superlative (di fila) contro Atalanta, Samp e Milan e poco altro. Chiaro che non è mai stato un bomber, ma decisivo sì. E quest’anno (che dovrebbe essere quello della sua consacrazione) lo è stato in 3 partite su 17: veramente troppo poco fin qui. Al di là dei fastidi fisici e di un ruolo e di una squadra che non lo hanno assecondato.
DELUDENTI. Ma anche altri hanno reso poco. Come l’ex capitano (ora vice) Badelj, che più volte ha stretto i denti a livello fisico, ma a parte la gara di San Siro con il Milan ha quasi sempre steccato. Doveva essere l’organizzatore del gioco, ma la Fiorentina un gioco non l’ha praticamente mai avuto. Milenkovic è partito bene, gol e non solo, poi è incappato in diversi errori. Poi Boateng: arrivato come giocatore carismatico, di esperienza, trascinatore, con la 10 sulle spalle voleva essere un leader, ma non ha praticamente mai inciso. In mezzo Pulgar era partito bene ma nelle ultime settimane è stato inglobato dalla crisi viola. Lirola invece fin qui non ha messo a frutto i 12 milioni spesi per acquistarlo: fase difensiva così e così (si sapeva), davanti non ha proposto quasi nulla (e ci si aspettava invece molto). Dall’altra parte Dalbert ci ha messo tanta corsa e poca qualità: giudizi rimandati, ma rispetto alle aspettative (e visto che si veniva da un Biraghi in versione flop) non è andato troppo male. Benassi è invece passato dall’essere il capocannoniere dello scorso campionato a riserva fissa, incapace di rappresentare un’alternativa ad un centrocampo in sofferenza. E poi Ghezzal e Pedro, giocatori che nelle idee estive dovevano crescere e riuscire a fare la differenza, ma che hanno avuto pochissimo spazio e quando chiamati in causa non hanno saputo incidere (il brasiliano ha più attenuanti, da questo punto di vista, visto lo scarsissimo minutaggio).
SI SALVANO IN POCHI. Nel bilancio di fine anno solare si salvano così Castrovilli (in assoluto il migliore), Dragowski (pochi errori e qualche parata decisiva), Pezzella e Caceres (pur con qualche battuta a vuoto), Ribery (pur con quel rosso decisamente evitabile contro la Lazio, che ha segnato l’inizio della crisi) e i vari giovani ‘fiorentini’ (Sottil, Ranieri, Venuti) sui quali ci si aspettava una crescita progressiva nel ruolo di alternative, che in fondo hanno recitato (e il rendimento negativo della Fiorentina non può essere imputato a loro). Più Vlahovic, 19enne che tra gli alti e bassi naturali di una giovane promessa si è ritagliato un importante finale di 2019. Un giocatore dal quale ripartire, ma a cui affiancare anche una punta importante. Perché gli si possono chiedere determinazione, voglia, giocate di forza come contro l’Inter, ma pretendere 15 gol da chi la prima rete in A l’ha segnata il 10 novembre sullo 0-5 a Cagliari, forse, è un po’ troppo.
Di
Marco Pecorini