Foco analizza come Italiano è riuscito a trasformare il gioco della Fiorentina dopo un inizio di stagione deludente. E perché le cose posso ulteriormente migliorare
La partita col Milan non ha lasciato solo note amare. La prestazione contro i campioni d’Italia certifica che la Fiorentina ha ritrovato le sue sicurezze e permette di intravedere una seconda parte di campionato diverso da quello che questo primo scorcio faceva temere. Italiano è riuscito a far cambiare rotta alla sua squadra e se si considera la difficoltà di un’annata così compressa con una giusta dose di obiettività, si può capire che è stata roba da allenatore vero. Il progetto iniziale era molto ambizioso sulla carta. La Fiorentina, nei piani del suo mister, doveva dominare la partita mangiandosi campo e possesso palla senza soluzione di continuità, schiacciando l’avversario indietro. Una simile pressione, unita ad un giro palla a ridosso dell’area, in teoria, avrebbe dovuto portare al gol attraverso corridoi creati spostando la difesa col pallone tra i piedi o attraverso l’errore avversario incentivato dall’occupazione degli spazi. Inoltre il possesso reiterato avrebbe dovuto avere anche un risvolto importante a livello difensivo, lasciando di fatto l’avversario senza possibilità di gestione del pallone.
Un modo di interpretare la partita quasi da Manchester City ma che non essendo la Fiorentina il Manchester City, appunto, ha creato alcune difficoltà. Pur essendo, la Fiorentina, una squadra tecnicamente molto buona, non ha centrocampisti in grado di trasformare il possesso palla da orizzontale a verticale. Manca, cioè, quel tipo di giocatore in mezzo che sa rompere le linee con una giocata tecnicamente superiore, un dribbling o una verticalizzazione che sia. Italiano questo lo sapeva – l’esperimento di Ikoné interno lo scorso anno mirava ad ovviare a questa mancanza – e ha cercato questo tipo di giocate dagli esterni. I quali, però, rimanevano spesso impantanati nelle rotazioni delle catene laterali, in cui le mezze ali avevano forse un po’ troppo peso.
Il piano non è andato bene e ne è scaturita una squadra che, sì, aveva moltissimo possesso e si stabiliva con continuità nel campo avversario, ma che al tempo stesso si fondeva con l’avversario annullando gli spazi anche a sé stessa. La mancanza di spazio e del De Bruyne della situazione hanno dilatato i tempi di gioco e questo ha ammazzato la pericolosità offensiva. Quasi azzerandola. Una situazione del genere non era facile da aggiustare ma Italiano c’è riuscito. E c’è riuscito andando incontro alle caratteristiche dei suoi giocatori. Qualcuno potrebbe obiettare che dovrebbe essere sempre così ma se questa fosse una regola fissa, non avremmo avuto la Fiorentina dello scorso anno con otto undicesimi di quella che lottava per la retrocessione. Che non aveva giocatori in teoria in grado di giocare a quattro dietro, di comandare la partita o di vincere contro le prime. Le caratteristiche prima di essere assecondate vanno fatte uscire definitivamente e poi pesate, provando sempre qualcosa di più difficile. Le difficoltà hanno imposto delle modifiche e queste sono venute.
La Fiorentina ha ripreso a correre innanzitutto creandosi lo spazio. E lo ha fatto cercando di allargare l’avversario. Il primo possesso è stato velocizzato con la ricerca di uno scarico immediato sugli esterni. Le ali sono state messe in connessione diretta coi terzini, riducendo all’essenziale il gioco degli interni sulle catene laterali, cosa che ha liberato i corridoi esterni da un’eccessiva presenza di uomini. Il 4-3-3 è stato dotato di rotazioni in mezzo in grado di far passare, a seconda delle fasi di gioco, il vertice del triangolo di centrocampo da basso ad alto, disegnando in fase offensiva un 4-2-3-1 che ha permesso di andare ad impegnare un difensore avversario in più in uscita, guadagnando spazi in area. In fase difensiva si è esasperato lo scontro in uno contro uno dei centrali ma avendo la possibilità di un aiuto dal mediano. In fase di non possesso si alza un solo interno che va ad affiancare gli attaccanti in pressione e questo permette di tenere le ali più alte rispetto a prima, quando rinculavano per coprire il pressing dei centrocampisti ma perdendo metri per un eventuale contrattacco.
Il risultato di queste modifiche è una squadra più difficile da gestire per l’avversario grazie alla fluidità nel cambiamento del modulo in corsa. Funziona tutto al cento per cento? No e non potrebbe essere altrimenti. Manca ancora una connessione soddisfacente con le prime punte. Mancanza che spesso fa sbagliare scelte di gioco e che, per me, può essere risolta con un lavoro intensivo sui movimenti. Ci sono ancora delle piccole falle nelle rotazioni a centrocampo che ogni tanto aprono corridoi verso il centro della difesa ma, anche qui, l’allenamento può far migliorare. Non è (ancora ) un sistema perfetto, insomma, ma è appunto questa imperfezione che rende questa nuova Fiorentina più intrigante. Perché adesso c’è parecchio tempo per lavorarci e lavorare sui difetti di una squadra che va a fare la padrona a San Siro potrebbe voler dire lavorare per un grande 2023.
Di
Foco